Attualità

Spiagge all’asta dal 2018: l’annuncio dei tecnici di governo

La legge sarà presentata entro il prossimo autunno. E non dovrebbe contenere il periodo transitorio di 30 anni chiesto dalle associazioni balneari.

di Alex Giuzio

Il gioco a cui sta giocando il governo Renzi con i balneari italiani non è mai stato chiaro fino in fondo, ma negli ultimi giorni ha preso una piega inquietante. Così, almeno, si potrebbero definire le parole di Lucia Serena Rossi, uno dei tecnici che, per conto del governo italiano e in particolare del sottosegretario agli affari europei Sandro Gozi, sta portando avanti a Bruxelles la delicata trattativa sulla riforma delle concessioni balneari. E che ieri ha annunciato che la riforma delle concessioni balneari potrebbe mandare tutte le spiagge all’asta a partire dal 2018, contestando anche le eventuali premialità per il concessionario uscente.

La notiza preoccupa, poiché si tratta di uno dei tecnici che sta lavorando per conto del governo sul futuro degli imprenditori balneari. E anche se le sue parole non vanno prese come indicative di tutto il governo, occorre comunque mantenere alta l’attenzione. Così infatti Rossi si è espressa ieri mattina, all’assemblea di Oasi-Confartigianato tenutasi a Rimini, secondo quanto riportato dalla stampa locale: «La Corte di giustizia europea si esprimerà sulla proroga al 2020 prima dell’estate, forse già a maggio. Quasi certamente la sentenza sarà negativa e la proroga annullata; d’altronde la situazione attuale delle concessioni balneari è palesemente illegale. In autunno il governo dovrebbe allora emanare un decreto legge per regolare le future evidenze pubbliche. I tempi tecnici faranno svolgere agli attuali imprenditori balneari anche la stagione 2017, dopodiché se la dovranno vedere con i concorrenti interessati alle medesime spiagge», scrivono il Resto del Carlino e il Corriere di Rimini.

In poche parole, aste dal 2018. Che è ciò che gli imprenditori balneari hanno sempre combattuto: dopo una battaglia che sta andando avanti da più di sei anni, con la possibilità di evitare le evidenze pubbliche che appare sempre più difficile (ma non ancora impossibile), le ultime richieste delle associazioni nazionali di categoria hanno posto il paletto di un periodo transitorio minimo di 30 anni prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Trovando in questo l’appoggio di tutte le Regioni (tranne Toscana e Lazio).

Ma così evidentemente non la pensa la dottoressa Rossi, che in qualità di tecnico del governo si è sbilanciata come non hanno mai fatto gli esponenti politici. «L’ambito delle evidenze sarà tutto da costruire – ha aggiunto – poiché andranno stabiliti il numero di gare alle quali un singolo operatore può partecipare, il valore commerciale delle imprese, il modo per far risaltare le peculiarità che hanno determinati territori rispetto ad altri. Il che potrebbe fare la differenza».

Ora, prendendo le parole di Rossi come quelle di un tecnico – che non rappresenta tutto il governo, ma che sta comunque lavorando per conto del governo – gli aspetti di cui preoccuparsi sono molti: dalle sue parole, è chiaro infatti che ci sono dei tecnici che stanno lavorando a una strada del tutto sfavorevole agli attuali imprenditori balneari. E non occorre sottolineare ulteriormente l’ingiustizia di una legge del genere, se è davvero questa la strada che il governo vuole seguire. Aprire le evidenze pubbliche in maniera indistinta dal 2018, come ha sostenuto Rossi, significherebbe non tenere conto degli investimenti che gli attuali imprenditori balneari hanno compiuto, sulla base di un precedente contratto con lo Stato che garantiva il rinnovo automatico ogni sei anni della propria concessione. Cambiare le carte all’improvviso non può significare cancellare anni di sacrifici senza nemmeno riconoscerli. Naturalmente, c’è in atto una delicata trattativa politica e sindacale di cui la Rossi sembra non avere tenuto conto della sua relazione; e c’è da augurarsi che il governo intero non la pensi come lei.

Tra l’altro, l’ulteriore slittamento delle tempistiche continua a preoccupare: la riforma delle spiagge è più che mai urgente per far tornare le concessioni balneari a una situazione di regolarità, e solo lo scorso 28 gennaio la senatrice Manuela Granaiola aveva auspicato la presentazione del ddl entro marzo (vedi notizia), mentre ora si parla già del prossimo autunno.

A tranquillizzare in parte la platea ci ha provato il deputato Sergio Pizzolante (Nuovo Centrodestra): «Non dovete pensare che, in caso di concessioni scadute, domani si proceda subito con l’evidenza pubblica. Per due anni abbiamo chiesto ai Comuni una mappa delle spiagge libere e ancora non abbiamo ottenuto un risultato definitivo; immaginate allora cosa significa procedere con le gare per 30 mila imprese: è impossibile gestirle in un anno. Ora, d’accordo con il ministro agli affari regionali Enrico Costa, procederemo alla realizzazione di un tavolo tecnico per chiudere in pochi mesi la vicenda».

È invece già entrato nella mentalità delle evidenze pubbliche il deputato Tiziano Arlotti (Pd), che ha dichiarato: «Gli investimenti andranno legati alle scelte dei Comuni e ai Piani spiaggia. Bisognerà tenere conto dell’esperienza e della professionalità maturate, senza appoggiarsi ai requisiti altrui. Occorrerà porre un tetto al numero di zone che può acquisire una singola persona (direi una o due) e dovremo coinvolgere anche l’Anac, l’Autorità nazionale anti corruzione».

A sconcertare la platea c’è stato poi l’atteggiamento di Oasi-Confartigianato, che solo mercoledì scorso ha firmato un documento insieme a Sib-Confcommercio, Fiba-Confesercenti e Assobalneari-Confindustria (analogamente a quanto fatto in maniera autonoma anche da Cna Balneatori) per chiedere i 30 anni di periodo transitorio (vedi notizia), mentre ieri non ha affatto contestato le parole della Rossi. Anzi, così si è espresso il presidente Giorgio Mussoni secondo la stampa locale: «Il nostro obiettivo principale rimane il riconoscimento del valore d’impresa. Valuto migliore una proroga di 6 o 10 anni rispetto a un atto formale che consegni per 30 anni la concessione, ma lasciando a scadenza l’impresa allo Stato. Comunque, per ora al governo non abbiamo chiesto né 3 né 12 anni, ma solo un congruo periodo di tempo. Forse 6-8 anni sarebbe la misura più giusta. Poi occorrerà valorizzare la specifica competenza sul territorio, che dovrà essere considerata quale elemento di premialità nella misura del 40% del punteggio complessivo».

Ma anche su quest’ultimo passaggio il governo e l’Europa sono irremovibili: niente "scorciatoie" per riassegnare l’impresa al precedente concessionario. «Il 40% è già stato bocciato dalla Commissione europea, è un valore da diminuire. E secondo la direttiva Bolkestein non si può privilegiare in alcun modo il concessionario uscente», ha detto senza mezzi termini Rossi. Facendo capire che la trattativa tra le associazioni balneari, il governo italiano e la Commissione europea sarà ancora molto impegnativa prima di vedersi riconoscere i propri diritti.

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