di Alex Giuzio
La Spagna vuole riuscire a evitare le evidenze pubbliche delle spiagge, imposte dalla direttiva europea Bolkestein. La notizia risale al 5 ottobre, ma ha cominciato solo oggi a circolare tra i balneari italiani. Un peccato poiché, se scoperta in tempo, avrebbe potuto costituire un ulteriore argomento a favore da sfruttare mercoledì scorso durante l’incontro tra il ministro Gnudi e i sindacati balneari.
Il governo Monti, infatti, continua a ribadire l’inevitabilità delle evidenze pubbliche degli stabilimenti balneari perché "imposte dall’Unione europea", mentre in realtà la direttiva Bolkestein lascia ampi margini per impedirlo (prevedendo, ad esempio, la durata illimitata delle concessioni e obbligando alle evidenze solo in caso di risorsa limitata, che non è il caso delle coste italiane). La soluzione spagnola ne è una dimostrazione, dato che non è stato contestato da Bruxelles; almeno per ora.
Questi i fatti iberici: lo scorso venerdì il governo di Rajoy ha approvato un progetto di riforma alla legge delle coste del 1988, grazie alla quale si riuscirebbe a evitare la demolizione degli edifici situati sul litorale, estendendone la concessione agli attuali titolari per altri 75 anni. Le precedenti concessioni sarebbero infatti scadute a partire dal 2018, e il governo avrebbe dovuto imporre la demolizione di ogni costruzione. Con il nuovo provvedimento, invece, pur garantendo l’abbattimento delle strutture abusive, si è deciso di mantenere quelle regolari per salvaguardare gli investimenti effettuati.
Il vicepremier Soraya Sáenz de Santamaría ha affermato che il nuovo provvedimento «proteggerà meglio il litorale dagli eccessi urbanistici, genererà maggiore attività economica e sarà uno strumento efficace di protezione del litorale, assicurando sicurezza a cittadini e imprese».
Il governo spagnolo ha voluto evitare la demolizione di circa 23.000 imprese di spiaggia (a cui si sommano circa 10.000 abitazioni private, sempre costruite sul demanio marittimo), che, secondo il ministro dell’ambiente Miguel Arias Cañete, «avrebbe generato massicce proteste da parte di cittadini e imprenditori, compromettendo l’immagine della Spagna». Un discorso a parte è quello dei "chiringuitos", ovvero dei chioschi di legno sulla spiaggia, che in Spagna non sono in regime di concessione bensì di autorizzazione. Quest’ultima, con la nuova legge, è stata fissata a una durata di quattro anni.
Per evitare un’ulteriore cementificazione della costa, la riforma vieta la costruzione di nuovi edifici a meno di cento metri dal mare e «proibisce che le eventuali necessarie opere di ristrutturazione degli edifici esistenti implichino un qualsiasi aumento di volume, altezza e superficie». Le associazioni ambientaliste spagnole (tra cui Greenpeace, Wwf ed Ecologistas en Acción) hanno però contestato che la nuova legge non tiene conto del naturale arretramento della costa e dell’abbassamento del livello del suolo dovuto agli edifici già esistenti.
Come anticipato, i balneari italiani hanno esultato per la notizia, che costituirebbe un precedente a favore per la loro causa: il governo Monti vuole infatti interpretare la direttiva Bolkestein per mettere all’asta le concessioni demaniali marittime, con tutto ciò che vi sta sopra. Il governo spagnolo, invece, non ha deciso di ridistribuire le concessioni, bensì di prolungarle per 75 anni agli attuali concessionari, senza per adesso incassare la bocciatura dell’Unione europea poiché pare che la nuova legge offra un buon compromesso tra la tutela ambientale e gli investimenti effettuati dagli attuali concessionari. Tuttavia, per ora si tratta di un progetto che, seppure già approvato dal governo, necessita ancora dell’ultima approvazione in parlamento.
Così ha commentato la notizia Piero Bellandi, tra i tecnici che hanno studiato, per contro del Comitato salvataggio imprese e turismo, una soluzione denominata "Testo unico Del Dotto": «La riforma spagnola è l’esatta replica dell’impostazione del nostro testo unico, il quale prende le mosse dal sistema balneare esistente che, a parte chi ha costruito abusivamente, viene ritenuto come il miglior sistema a difesa della costa, nei confronti di una cementificazione selvaggia che potrebbe scaturire dalla liberalizzazione al miglior offerente. Evidentemente la difesa della costa non è un vantaggio concesso ai balneari attuali; non si tratta di un contingentamento di licenze per porre in atto barriere libertà di stabilimento. Si tratta di una vera e propria difesa della costa a tutela del suo ambiente, per permettere la coesione tra attività economica e l’ecologia. E quali migliori sentinelle possono essere gli attuali, ma regolari, concessionari di cui l’ambiente è il pane primario?»
Ora la palla passa ai sindacati balneari italiani, che potrebbero studiare la soluzione spagnola per proporla al governo Monti come misura alternativa alle evidenze pubbliche.
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N.B. Per la presente notizia, l’autore ha consultato direttamente il testo della legge spagnola, nonché alcuni articoli della stampa iberica. Si segnalano le principali fonti per chi volesse maggiori approfondimenti:
- (ES) Il progetto della riforma alla legge della costa 22/1988
- (ES) Semaforo verde alla riforma della Legge della Costa che eviterà la demolizione di migliaia di abitazioni (El Mundo, 5 ottobre 2012)
- (ES) Il "disammortamento" del pubblico demanio marittimo (El Pais, 5 ottobre 2012)
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