Attualità

Questione balneare, ‘una distorsione giuridica senza precedenti’

Riceviamo e pubblichiamo un nuovo contributo dell'ing. Ruggieri dopo il precedente articolo che ha suscitato qualche polemica.

di Giannicola Ruggieri

A seguito del mio precedente articolo, che sono felice abbia contribuito a instillare nei lettori un momento di riflessione, sono state mosse diverse critiche che ovviamente raccolgo come un utile confronto. Mi preme tuttavia precisare che non sono affatto lo studioso chiuso nella torre d’avorio che ignora la realtà, come qualcuno ha voluto far intendere, giungendo addirittura a etichettarmi come nemico dei balneari. Credo, di contro, che il nemico si nasconda in chi sostiene, in questo momento di estrema difficoltà, soluzioni irrealizzabili.

A tal proposito mi preme evidenziare come, tra le tante esperienze dalle quali attingo la mia formazione in materia di demanio, vi sia la gestione continuata per oltre 14 anni dell’ufficio demanio di un noto comune costiero italiano, con ben 160 posizioni concessorie da gestire. Imprenditori a favore dei quali mi sono sempre battuto con estremo vigore. Solo a titolo di esempio, nel mio comune nessuno dei balneari con risalenti opere di difficile rimozione è stato interessato dal fenomeno delle “pertinenze di fatto” e nessuno di loro, per eguali ragioni, ha mai conosciuto i valori OMI, grazie alla battaglia condotta in prima persona con l’Agenzia del Demanio, della quale mi sono assunto oneri e onori.

Nonostante le critiche ricevute mi avrebbero indotto a rispondere a ogni singolo intervento, non ritengo rispettoso verso la materia che amo, condensare le mie opinioni in poche righe o in singole considerazioni. Questa materia, infatti, non è riassumibile in slogan, proprio per la molteplicità di sfaccettature che essa possiede e che si trasmutano, il più delle volte, in problematiche ampie e complesse. Naturalmente sono pronto a offrire il mio contributo a una categoria che ho sempre protetto, ma mi piacerebbe farlo con i miei modi e i miei tempi, che sono quelli del tecnico ancor prima che dello studioso.

Come tecnico è mia abitudine non affrontare un problema senza preliminarmente averne compreso a fondo la genesi. La cosa mi porta via tempo ma mi regala una visione ampia che rende, a mio sommesso avviso, più semplice ipotizzare soluzioni.

Innanzitutto è facile costatare come nessun imprenditore che operi nel settore della nautica da diporto, acquacoltura, cantieristica o altro, lamenti alcunché. Questi imprenditori accettano, più o meno serenamente, la dinamica secondo cui a fine concessione dovranno affrontare una nuova procedura a evidenza pubblica per mantenere la gestione di quell’attività, con conseguente incameramento delle opere da lui stesso realizzate nelle proprietà statali. Già solo questo dato restringe il campo dell’analisi razionale e ci indica che il problema non è sentito per tutte le concessioni marittime, ma soltanto per quelle a scopo “turistico ricreativo”. È evidente, quindi, che queste concessioni sono state trattate diversamente dalle altre e che, proprio tale diverso trattamento, ha indotto il concessionario a ritenersi, in qualche maniera, minacciato dall’approssimarsi fisiologico della tanto odiata scadenza.

Per comprendere la genesi del problema, quindi, non bisogna far altro che rimboccarsi le maniche e partire per un piccolo excursus storico, che sono certo servirà a fare chiarezza.

Negli anni ’60 – ’70 il boom della balneazione spinse una moltitudine di coraggiosi a entrare in quello che sarebbe poi divenuto il difficile mondo dell’imprenditoria balneare. La massa immane di istanze presentate all’Autorità Marittima per realizzare gli stabilimenti balneari aveva comprensibilmente messo in crisi il sistema amministrativo deputato a gestirle. A quell’epoca, infatti, la Capitaneria di Porto, ultimo anello della catena decisoria dopo la Direzione Marittima e il Ministero, poteva soltanto rilasciare “licenze” di durata massima 4 anni, finalizzate alla realizzazione di impianti di facile rimozione. I famosi e romantici “atti formali”, bellissimi con la loro ceralacca rossa, i nastrini e tutto il resto, unici provvedimenti atti ad autorizzare durate più ampie e in linea con la durata degli investimenti proposti, erano appannaggio degli organi superiori e richiedevano, come è ovvio, tempi di istruttoria notevolmente più lunghi, difficilmente conciliabili con le aspettative dei nuovi imprenditori segnate sempre più dall’urgenza. Si decise, quindi, che al fine di non ingolfare le sfere più alte dell’Autorità Marittima, sarebbe stata la Capitaneria a gestire le pratiche, con il più agile strumento della licenza in luogo del precedente e più opportuno atto formale. Pazienza se la durata sarebbe stata di soli 4 anni o anche meno (alcune Capitanerie in Italia hanno rilasciato concessioni della durata di un anno!).

Da tale scelta conseguiva come necessità quella di dare una qualificazione alle opere, che, per evidenti ragioni, non potevano che essere amovibili, trovando man forte nell’ex Genio Civile OO.MM., ben disposto a collaborare con le Capitanerie spostando il baricentro delle opere proposte verso la facile rimozione. È con questo passaggio che gli imprenditori, il più delle volte inconsapevolmente, sono caduti nella trappola dalla quale non sarebbero più usciti, ossia avere realizzato opere importanti sulla scorta di atti concessori la cui durata risultava del tutto sganciata dagli investimenti proposti.

Grazie alla lettura un po’ forzata dell’articolo 8 del regolamento di esecuzione e dell’articolo 37 del codice della navigazione (diritto di insistenza) queste posizioni concessorie di fatto sono state rinnovate, in modo preordinato e automatico, sino al 2000. Il nostro ideale viaggio ci porta quindi nel 2001, quando la voglia di proteggere a ogni costo il settore turistico ricreativo si fece talmente forte da culminare nell’approvazione della legge 88 nel marzo 2001. La Legge, infatti, in combinato con la successiva legge n. 172 del luglio del 2003, infrange definitivamente il tabù della limitatezza temporale dell’uso privatistico del demanio, così come indiscutibilmente sancito dall’impianto codicistico, e istituzionalizza la durata praticamente perpetua delle sole concessioni turistico ricreative, cristallizzando l’errore già fatto in passato, ossia quello di non avere correttamente commisurato la durata della concessione all’entità degli investimenti proposti.

La norma ottiene inaspettatamente l’effetto opposto a quello voluto, e il mondo esterno – a partire proprio dalle concessioni per altri usi rimaste escluse, per finire alla giurisprudenza italiana e infine comunitaria -, si accorge che tale norma è in stridente contrasto con i principi di libera concorrenza, di non discriminazione, della parità di trattamento, della libertà di stabilimento, par conditio, etc., sanciti dal Trattato CE, da cui hanno origine i problemi che tutti noi più o meno conosciamo.

È il gennaio dell’anno 2009 quando arriva la doccia fredda per i balneari, coincisa con l’apertura della procedura di infrazione comunitaria contro il rinnovo automatico e il diritto di insistenza. A dicembre dello stesso anno, si assiste impotenti all’abrogazione del diritto di insistenza ex art. 37 cod. nav. e alla contestuale prima proroga al 2015, riservata alle sole concessioni turistico ricreative in assenza di qualunque considerazione sugli investimenti. Nel 2011, poi, la legge comunitaria interviene cancellando definitivamente il sistema del rinnovo automatico introdotto dalla legge n. 88/ 2001 chiudendo definitivamente la procedura di infrazione. Infine, nel 2012 si assiste al colpo di coda del governo Monti, che lancia il cuore oltre ostacolo con la proroga al 2020. L’ennesimo intervento normativo privo del pur minimo approfondimento tecnico (perché non 2022 o 2018?), salvo inserire nel regime di proroga qualche altro scopo oltre al turistico ricreativo per tener buono qualche animo che si stava scaldando.

Torniamo così a quanto avviene oggi, che ho provocatoriamente definito “tempi confusi” nel mio primo articolo proprio per svegliare qualcuno dal torpore, e proviamo a tirare qualche prima conclusione. Si è compreso che qualcuno (non tutti…) degli imprenditori che operano sul demanio marittimo, in particolar modo quelli la cui concessione ha un utilizzo turistico ricreativo, temono la scadenza della concessione in quanto, in qualche maniera, percepiscono che non vi è stata da parte dello Stato una gestione condivisibile e limpida del binomio inscindibile durata-investimento. Una parte di questi imprenditori (quindi non tutti) ha realizzato investimenti in passato perché indotti a credere di poterli ammortizzare in un tempo indefinito, in special modo nel decennio 2001-2011, grazie agli interventi legislativi richiamati e cassati dall’attuale normativa. Una parte ancor più ristretta di questi ultimi, per l’entità e importanza dell’investimento messo in campo, si ritrova oggi con una scadenza concessoria che impedisce o limita l’orizzonte temporale necessario ad ammortizzare il già detto l’investimento, con inevitabili ricadute finanziarie e perdite. In altre parole questi importanti investimenti richiederebbero, per essere ammortizzati, tempistiche incompatibili con la scadenza della concessione, andando ben oltre il 2015 o il 2020.

Ebbene, io credo sommessamente che per questi ultimi soggetti vi sia stata una lesione pacifica del principio del legittimo affidamento, tale da essere stati vittima di una distorsione giuridica che non ha precedenti e che quindi sarà necessario individuare soluzioni correttive ad hoc. Per gli altri imprenditori, invece, dovremmo sforzarci di trovare differenti soluzioni da individuare, sempre a mio avviso, nelle modalità con le quali verranno formulati i capitolati di gara.

Nel prossimo breve articolo, per chi avrà ancora la pazienza di leggermi, riporterò alcuni spunti da cui a mio avviso partire per tratteggiare ipotesi risolutive. Operazione che mi accingo a compiere con l’umiltà di chi non ha mai smesso di studiare la materia e animato dalla sola voglia di apportare un contributo che possa essere utile alla causa.

Ing. Giannicola Ruggieri – Master in Diritto ed Economia del Mare, Master in Diritto Internazionale del Mare (Università della Valletta – Malta), Docente di demanio marittimo per la scuola di formazione per funzionari di P.A. Trevi Formazione, consulente di P.A. in materia di demanio, consulente demaniale per Demaniomarittimo.com

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