Non sono bastate le decine di sentenze fra tribunali civili, corti d’appello, Tar, Consiglio di Stato e persino Corte costituzionale. Lo Stato italiano è andato dritto per la sua strada, ignorando le numerose pronunce che gli davano torto. E nei giorni scorsi ha dato disposizione all’Agenzia delle entrate di effettuare i prelievi forzosi nelle casse di 24 porti turistici italiani, per ottenere il pagamento dei maxi canoni demaniali non versati per svariati milioni di euro. Una vicenda che fa tremare anche il settore degli stabilimenti balneari, dove esistono circa trecento imprese nella stessa situazione di questi porti turistici: stiamo infatti parlando dei “canoni pertinenziali“, quelli cioè calcolati secondo il criterio dei valori Omi (Osservatorio mobiliare italiano).
In base a quanto disposto dalla legge finanziaria del 2007, per questi canoni sono stati disposti aumenti fino al +4500%, fuori da ogni logica di mercato, tanto che tutti i giudici chiamati a pronunciarsi sulla vicenda hanno riconosciuto l’ingiustizia di tale norma. Eppure lo Stato italiano sta ignorando il dramma di queste imprese: nonostante i numerosi tentativi fatti in parlamento, gli emendamenti salva-pertinenziali sono sempre stati bocciati e ora l’Agenzia delle entrate ha cominciato con i prelievi forzosi. Per ora le vittime sono 24 porti turistici da Rimini a Capri, ma presto Equitalia potrebbe passare ai trecento stabilimenti balneari pertinenziali.
Cosa sta accadendo ai porti turistici
Secondo quanto riportato dal Giornale della Vela, nei giorni scorsi sono arrivate delle cartelle esattoriali stratosferiche a numerosi porti turistici, a cui sono seguiti i blocchi dei conti correnti. «Clamoroso il caso del Marina Blu di Rimini, che si è visto consegnare una maxi-cartella da un milione di euro per l’aumento retroattivo, da parte dello Stato, del canone demaniale», sottolinea il Giornale della Vela. «Adesso il giro di vite definitivo: sono arrivate le prime revoche delle concessioni alle società “colpevoli” solo di avere resistito e vinto i ricorsi. I primi a cadere sono il Marina Piccola srl di Capri e il Marina di Cattolica srl, ma corrono lo stesso rischio di collasso altre 22 società e i loro 2.225 addetti».
Il presidente di Ucina-Confindustria Nautica Saverio Cecchi usa parole molto forti: «Abbiamo bussato a tutte le porte, tutti gli uffici dei ministeri interessati hanno sui loro tavoli questo dossier da anni. Ho scritto al ministro Gualtieri appena insediato, ma non ho ancora avuto una risposta. Secondo il mandato unanime degli organi direttivi di Ucina Confindustria Nautica, riteniamo doveroso opporci con ogni mezzo di fronte a una vera e propria “esecuzione” a opera degli organi amministrativi dello Stato. Se per farlo sarà necessario adottare azioni anche eclatanti, non ci tireremo indietro».
Il contenzioso, come detto, parte da lontano: i pertinenziali si oppongono all’applicazione dall’articolo 1, comma 252 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007) che ha modificato i canoni annuali per le concessioni demaniali delle strutture della nautica da diporto e degli stabilimenti balneari, con aumenti fino a cinque-otto volte i canoni fissati all’atto di firma della concessione stessa, peraltro applicando retroattivamente il meccanismo di calcolo. Per i porti turistici questo ha significato ricevere cartelle esattoriali di svariati milioni di euro, mentre per gli stabilimenti balneari fino a 500 mila euro – ma si tratta comunque di cifre spropositate per delle piccole imprese familiari.
Le sentenze che danno torto allo Stato
«Il 2 dicembre 2008 la sezione centrale di controllo delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, con un parere motivato, aveva evidenziato come il piano finanziario del concessionario che ha realizzato la struttura turistico-ricettiva sia un elemento essenziale del contratto di concessione», spiega il Giornale della Vela. «Di conseguenza un aumento indiscriminato del canone originario rappresenta una forzatura unilaterale e di fatto una modifica del contratto a danno dei diritti del concessionario. La Corte dei conti aveva inoltre sottolineato come l’aumento dei canoni fosse sproporzionato rispetto all’ipotizzato vantaggio per l’erario, sia in termini di contenzioso, sia in termini di possibili risultati economici».
«Sono seguite numerose pronunce favorevoli ai porti da parte di diversi Tar. La querelle è così arrivata alla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 29 del 27 gennaio 2017, ha evidenziato come l’aumento dei canoni è possibile (e quindi in assoluto legittimo), ma “va esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri alle concessioni non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti e infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007” (paragrafo 5.7). La Corte costituzionale ha inoltre precisato che gli aumenti “risultano applicabili soltanto a quelle concessioni che già appartengano allo Stato e che già possiedano la qualità di beni demaniali. Nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario, ciò può avvenire solo al termine della concessione, e non già nel corso della medesima”. Nonostante la giurisprudenza sia dunque tutta a favore dei concessionari, l’amministrazione dello Stato procede con l’emissione delle cartelle esattoriali e il blocco dei conti correnti dei porti turistici, tutte respinte dai tribunali civili». Giunti a questo punto, lo Stato ha deciso di giocare una sorta di ritorsione, revocando le concessioni alle società “colpevoli” di avere resistito e vinto i ricorsi.
Un segnale di allarme per tutti gli imprenditori balneari
La vicenda dei maxi canoni pertinenziali ai porti turistici è strettamente connessa a quella degli stabilimenti balneari colpiti dalla medesima ingiustizia. Al di là delle sentenze sfavorevoli, pare che lo Stato non abbia ancora capito che è inutile accanirsi per riscuotere i maxi canoni, semplicemente perché queste piccole imprese non hanno a disposizione queste cifre. Meglio sarebbe sanare il contenzioso una volte per tutte, approvando un semplice emendamento nella legge finanziaria di fine anno. Ma purtroppo i numerosi tentativi dei parlamentari sono sempre stati bocciati dalla Ragioneria di Stato.
Tutti i titolari di stabilimenti balneari dovrebbero unirsi nel chiedere a gran voce una norma salva-pertinenziali seguita da un riordino generale dei canoni, che alzi le cifre più basse ed elimini quelle spropositate dei valori Omi in modo da equilibrare la situazione. La vicenda riguarda per ora solo trecento imprese, ma in assenza di una riforma generale, qualsiasi stabilimento rischia purtroppo di diventare pertinenziale da un momento all’altro.
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