L’argomento relativo alla disciplina normativa delle piscine in generale non è mai stato affrontato nella sua globalità, ma è sempre stato “spezzettato” a seconda dell’argomento che il legislatore intende affrontare. D’altronde, il settore delle piscine è molto piccolo in termini di fatturato e di incidenza dal punto di vista economico (se si esclude la ricaduta sugli utenti) nonché molto vasto in termini di complessità di argomenti sui quali va a incidere: dall’urbanistica alla progettazione, dalla costruzione alla parte impiantistica, fino alla gestione. In sostanza, l’argomento “piscina” attraversa trasversalmente una innumerevole quantità di settori e di aspetti, ma di riunirli tutti sotto una unica disposizione legislativa a livello nazionale ancora non si parla. E così, chi progetta e costruisce piscine si trova costretto a navigare in un mare ignoto, nel quale le onde cambiano di intensità e di direzione, e la possibilità di naufragio è sempre dietro l’angolo. Nonostante ciò, tentiamo comunque di dare qualche indicazione utile sulla situazione legislativa e sulle possibili interpretazioni per le tipologie di piscine negli stabilimenti balneari.
Per quanto riguarda l’aspetto igienico-sanitario, la disposizione più importante è l’accordo tra il Ministero della salute e le Regioni sugli aspetti igienico-sanitari per la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine a uso natatorio, pubblicato esattamente vent’anni fa, nel 2003. Si tratta di una sorta di contenitore nel quale tutte le Regioni avrebbero dovuto trovare le linee guida generali per predisporre in autonomia una propria legge regionale, ma così non è stato, perché nonostante tutte le Regioni (tranne la Sicilia) abbiano pubblicato una delibera di recepimento dell’accordo, solo poco più della metà di esse hanno provveduto a emanare una legge regionale specifica.
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L’accordo del 2003 classifica le piscine in base alla tipologia di utilizzo. Le categorie individuate sono le seguenti:
- A) piscine di proprietà pubblica o privata, destinate a un’utenza pubblica. Questa categoria comprende le seguenti tipologie di piscine le cui caratteristiche strutturali e gestionali specifiche sono definite da ciascuna regione:
- A1) piscine pubbliche (quali per esempio le piscine comunali);
- A2) piscine a uso collettivo: sono quelle inserite in strutture già adibite, in via principale, ad altre attività ricettive (alberghi, camping, complessi ricettivi e simili) nonché quelle al servizio di collettività, palestre o simili, accessibili ai soli ospiti, clienti, soci della struttura stessa;
- A3) gli impianti finalizzati al gioco acquatico;
- B) piscine destinate esclusivamente agli abitanti del condominio e ai loro ospiti, la cui natura giuridica è definita dagli articoli 1117 e seguenti del Codice civile;
- C) piscine a usi speciali collocate all’interno di una struttura di cura, di riabilitazione o termale, la cui disciplina è definita da una normativa specifica.
Le piscine turistico-ricettive degli stabilimenti balneari, quindi, dovrebbero appartenere di default alla categoria A2, alla quale sono associati determinati requisiti che variano a seconda della Regione. Occorre però fare attenzione alle possibili sovrapposizioni in tema di utilizzo delle piscine: infatti, quando una piscina costruita come categoria A2 viene messa a disposizione di un pubblico indifferenziato, essa diventa di categoria A1 e di conseguenza i requisiti diventano nazionali e più stringenti, a partire dalla necessità della presenza del bagnino di salvataggio. Per esempio, può succedere che la piscina di un hotel venga messa a disposizione di chiunque paghi un biglietto.
Quindi, la piscina di uno stabilimento balneare è di categoria A1 o A2? Si tratta di una domanda legittima, dettata dal fatto che chiunque, pagando l’ombrellone, può accedere alla piscina e quindi non c’è a monte una selezione della clientela. È anche vero, però, che questo concetto vale per qualunque struttura turistica: pensiamo per esempio a un hotel dove il cliente soggiorna una sola notte.
Il concetto dirimente per differenziare le piscine di categoria A2 da quelle di categoria A1 è il “filtro” costituito dall’oggetto principale della prestazione offerta, che non è la piscina. In base alla normativa, la piscina può essere utilizzata in quanto si è “ospiti, clienti, soci della struttura stessa”. Se invece si paga il biglietto per il solo accesso in piscina, allora non esistono filtri, l’oggetto della prestazione diventa la piscina e la categoria si trasforma da A2 in A1, con tutte le conseguenze del caso. Prima fra tutte, l’obbligo sempre e comunque del bagnino, di cui tratteremo nel prossimo articolo.
In definitiva, se uno stabilimento balneare intende costruire una piscina, sono sempre necessarie la massima prudenza e una puntuale verifica della norma regionale, con la consulenza di un professionista.
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