Attualità

”Ecco la soluzione per evitare le gare degli stabilimenti balneari”

L'autorevole avvocato Alessandro Del Dotto propone una strada normativa che risolverebbe l'annosa questione delle concessioni demaniali marittime.

La soluzione giuridica per evitare le evidenze pubbliche degli stabilimenti balneari è trasformare le concessioni in autorizzazioni. Questa, in estrema sintesi, la proposta contenuta in una lunga e densa riflessione firmata da Alessandro Del Dotto, avvocato specializzato in questioni di demanio marittimo, e pubblicata la scorsa settimana dall’autorevole quotidiano di informazione giuridica Altalex.

L’articolo di Del Dotto, intitolato “Demanio marittimo: idee per un nuovo ruolo dei poteri pubblici di programmazione e delle autorizzazioni”, rappresenta un importante ed esauriente contributo alla questione balneare italiana, cioè quel problema che vede le concessioni demaniali marittime prive di una normativa certa che permetta investimenti a lungo termine da parte degli imprenditori balneari, come avveniva finché era in vigore il regime del cosiddetto “rinnovo automatico”, abrogato con la legge Comunitaria 2010 e ancora non sostituito da un’adeguata riforma. La riflessione dell’avvocato, in particolare, viene pubblicata proprio nei giorni in cui il dibattito sulla “questione balneare” è nel suo momento più caldo, con un disegno di legge-delega fermo al Senato e che non ha incontrato il pieno favore della categoria. Per questo, riteniamo importante rilanciare i passaggi principali della riflessione di Del Dotto.

Il testo parte riassumendo le tre possibili soluzioni che nel passato sono state paventate per riformare le concessioni demaniali marittime, senza che nessuna di queste si sia però convertita in legge:

La prima soluzione era di competenza degli organi istituzionali rappresentativi che, tanto a livello europeo quanto a livello nazionale, avrebbero dovuto assegnare alla specificità dell’impresa balneare nostrana – determinata dal suo speciale rapporto con l’ambiente, il paesaggio, la capacità occupazionale e la storicità – il rango di fonte del diritto, al punto da consegnare una deroga sostanziale al principio della contendibilità dei titoli a numero limitato o dei titoli su beni a numero limitato.
La seconda soluzione avrebbe dovuto consentire di eliminare il problema attraverso il definitivo spostamento della titolarità del diritto dominicale pubblico in capo agli operatori economici, attraverso un procedimento di sdemanializzazione, senza mancare di notare – da un lato – che ciò avrebbe imposto allo Stato di scegliere fra una rendita temporalmente illimitata (canoni demaniali) e una entrata (che, pur consistente, sarebbe stata “una tantum”) e, comunque, da far passare attraverso le forche caudine dei pubblici incanti – dunque, con alto tasso di rischio anche per quegli stessi operatori che vi avrebbero sperato –.
La terza soluzione – le c.d. “aste pilotate” –, oggi di estrema attualità, è quella che avrebbe dovuto consentire di procedere secondo i criteri dell’evidenza pubblica, mettendo al centro offerta qualitativa e piano di investimenti (dunque, non solo un’offerta sul canone), insieme a un meccanismo di “buonuscita” del concessionario che, uscente, non sia stato nuovamente aggiudicatario.

A queste si è aggiunto, di recente, un altro tema su cui Del Dotto nutre delle perplessità, quello del “legittimo affidamento“:

un concetto non sconosciuto al diritto ma che, nella vicenda che ci occupa, ha assunto un ruolo tutto particolare. Con esso, finora, si descriveva la situazione di un soggetto che si trova in condizione di dover essere tutelato per aver confidato, in buonafede, in una situazione che, in realtà, è contraddittoria con quella propter jus. Nella vicenda delle concessioni demaniali, invece, taluni hanno fatto del “legittimo affidamento” esso stesso posizione giuridica da tutelare, con la giustificazione che l’ordinamento, per decenni, ha indotto le imprese balneari nella convinzione che le concessioni demaniali si sarebbero rinnovate in perpetuo.
Tuttavia, non bisogna lasciarsi ingannare, poiché questo istituto (pur legittimato dalla stessa sentenza della Corte di Giustizia del luglio 2016) viene invocato – discutibilmente, ma non in modo del tutto infondato – dai più a giustificazione della scelta normativa di assegnare un lungo periodo di proroga delle concessioni esistenti e in vigore (prima delle evidenze pubbliche) o, al più, per fondare un diritto all’indennizzo o al risarcimento del concessionario uscente per gli investimenti fatti nel tempo, ammortizzati o non, e per il valore aziendale maturato. Dunque, il legittimo affidamento come “zucchero” nell’amaro panorama delle procedure ad evidenza pubblica.

Secondo l’avvocato, è un’altra la possibile soluzione definitiva al problema degli stabilimenti balneari, e per raggiungerla è necessario innanzitutto rivedere il peso dei piani per l’utilizzo degli arenili (P.U.A.) passando dalla “pianificazione” alla “programmazione”:

In altre parole, alla P.A. dovrebbe essere assegnato il potere di “disegnare” che cosa si può realizzare sul demanio marittimo […] utilizzando tecniche analoghe a quelle già note con gli strumenti della programmazione delle opere pubbliche: un autentico potere di progettazione che, rimesso anche all’iniziativa di privati, lasci acquisire alla P.A. una realizzazione ben definita in ogni dettaglio (dagli indici urbanistici ed edilizi, alle destinazioni d’uso fino ai dettagli architettonici). Tale potere programmatorio renderebbe sostanzialmente vincolato l’esercizio delle facoltà dell’operatore economico che si relaziona con la P.A. in forza di un interesse impreditoriale dettato da prospettive di mercato, il quale troverebbe certamente un limite nei confronti di usi inappropriati o comunque non ricercati dalla P.A. nel progetto di sviluppo e di “proficuo uso” del demanio marittimo.
Segnatamente, al passaggio con cui si delinea una posizione di facoltà di godimento per il mercato (in opposizione alla esistente facoltà di concessione da parte dello Stato), farebbe eco una nuova prospettiva di stampo dirigista, improntata alla realizzazione di nuovi e più attuali scopi di interesse pubblico, costituzionalmente garantiti (in ordine ai quali anche le istituzioni UE ben poco avrebbero da dire, restando materia di sovranità statale). Dunque, si imporrebbe il passaggio dal regime dei “piani di utilizzo degli arenili” a quello dei “programmi di utilizzo degli arenili”, senza alcuno spazio, lato sensu, “concorrenziale” lasciato “a valle” della disponibilità del mercato, bensì rimesso totalmente alla P.A. che determina “a monte” il programma e il futuro dell’arenile, in funzione della realizzazione di spazi e servizi destinati al turismo, al paesaggio, al presidio ambientale, all’occupazione e alla sicurezza.

L’introduzione di un tale cambiamento normativo, secondo Del Dotto, porterebbe al superamento del regime concessorio per passare a un regime autorizzatorio, dalla durata «tendenzialmente illimitata», pur prevedendo per legge delle «periodiche verifiche di permanenza, in capo al titolare dell’autorizzazione, dei requisiti professionali, generali e di onorabilità». Ed ecco risolto il problema che da anni ha bloccato gli investimenti nel settore balneare. Conclude infatti Del Dotto:

Tale ipotesi di sviluppo di un nuovo statuto normativo per i beni demaniali marittimi avrebbe non pochi risvolti positivi. Certo è che ben poco potrebbe il diritto comunitario, il quale – con l’articolo 295 T.U.E. – lascia notoriamente intatta la sovranità dei Paesi membri in ordine alla disciplina della proprietà. E in questo senso, ben poco potrebbe anche l’eccezione europea della mancanza di evidenza pubblica nell’attribuzione delle concessioni demaniali, sino ad oggi brandita come uno spauracchio nello scandire confini e tempi della discussione parlamentare: del resto, l’evidenza pubblica ha senso quando esiste (o può esistere) un’opportunità di concorrenza; nel caso delle concessioni – come oggi esistono – forse ciò accade, ma non accadrebbe nel caso delle autorizzazioni, posto che né il contenuto né il corrispettivi sarebbero disponibili al mercato, essendo gli stessi predeterminati, rispettivamente, dai programmi di utilizzo degli arenili e dai meccanismi di calcolo matematici, entrambi non sottoposti a concorrenza bensì vincolanti con la loro caratteristica e intrinseca predeterminazione.
Si supererebbero, peraltro, le poco utili ricostruzioni dottrinali che – oggi lanciate in improbabili intenti di elusione dell’obbligo di evidenza pubblica nell’assegnazione delle concessioni demaniali – tendono a elevare il legittimo affidamento al rango di vera, propria e piena situazione giuridica soggettiva determinata dalle convulsioni che il quadro legislativo avrebbe avuto nel tempo, lasciando invece che esso sia – come deve essere – una condizione soggettiva nell’ambito di fattispecie risarcitorie o di liquidazione di danni ovvero indennizzi.
Tuttavia, come richiede ogni rivoluzione legislativa che si rispetti, sta al legislatore manifestare la volontà di riformare organicamente il sistema demaniale marittimo: il che non è questione tecnico-giuridica bensì solo e soltanto di volontà politica.

L’avvocato, dopo avere dimostrato che le evidenze pubbliche degli stabilimenti balneari non sono inevitabili, fa una dichiarazione importante: è la volontà politica a dover entrare in campo per risolvere il problema che da anni preoccupa gli attuali imprenditori balneari, ed è chiaro che negli ultimi anni questa volontà è mancata (o era rivolta verso un’altra direzione).

Per leggere il testo integrale di Alessandro Del Dotto e avere un quadro completo della sua riflessione, meglio di quanto abbia fatto questa sintesi, è sufficiente cliccare qui.

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