di Giannicola Ruggieri
In quest’ultimo articolo proverò a tratteggiare alcune strategie risolutive per la “questione balneare”, nel rispetto di quel dialogo che sin da principio ho ritenuto indispensabile alla risoluzione dei problemi dei balneari. Prendendo, dunque, le fila dalle conclusioni licenziate nel mio ultimo articolo, mi pare potersi riassumere la storia delle concessioni a uso turistico ricreativo in tre differenti momenti, ognuno con peculiarità e caratteristiche del tutto proprie:
- Dalla nascita della normativa demaniale sino al marzo 2001. Questo periodo è stato caratterizzato dalla presenza di licenze sconnesse dall’investimento proposto, e dalla vigenza del cosiddetto “diritto di insistenza”, sancito dal secondo capoverso dell’art. 37 del Codice della navigazione, utilizzato per rinnovarle in modo “automatico”. L’imprenditore che ha compiuto investimenti in questa fascia temporale, la cui entità richiedeva e richiede tempistiche maggiori del 31/12/2015, ha subito un’evidente lesione del “principio di legittimo affidamento”;
- Il decennio marzo 2001- dicembre 2011. Questo periodo storico è stato caratterizzato dall’affidamento nel principio del rinnovo automatico per le concessioni turistico-ricreative, sulla scorta del dettato contenuto nella legge n. 88/01, ragione in più per sostenere le conclusioni avanzate al punto precedente;
- Dal dicembre 2011 ai giorni nostri. Gli imprenditori che hanno compiuto investimenti in quest’ultimo periodo l’hanno fatto a proprio rischio in quanto, come giustamente sancito dalla Corte Costituzionale nel 2010, “non vi è alcun affidamento da tutelare con riguardo alla esigenza di disporre del tempo necessario all’ammortamento delle spese sostenute per ottenere la concessione, perché al momento del rilascio della medesima il concessionario già conosceva l’arco temporale sul quale poteva contare per ammortizzare gli investimenti, e su di esso ha potuto fare affidamento”.
Nei primi due casi, quindi, è pacifica la lesione del legittimo affidamento, trovandoci visibilmente in presenza di un comportamento della P.A. (autorizzazione a eseguire un dato intervento) sul quale il privato ha fatto legittimo affidamento, orientando i propri investimenti sull’area in concessione (aver contato per esempio su un tempo sufficientemente lungo per rientrare nell’investimento). Ogni situazione, quindi, dovrà essere valutata singolarmente, essendo evidente l’impossibilità a tratteggiare soluzioni generalizzate. Una proroga a 10 anni, infatti, potrà essere insufficiente per un imprenditore ed eccessiva per un altro, dipendendo per l’appunto dall’entità dell’investimento in gioco e dal momento storico in cui esso è stato effettuato (maggiore o minore vicinanza alla scadenza della concessione).
Più che delle proroghe, quindi, gli imprenditori dovrebbero invocare dei “correttivi alla durata della concessione” finalizzati a riportare il binomio investimento-durata nei canoni della legittimità. Sarà quindi necessario, a mio sommesso avviso:
- quantificare il valore dell’investimento sostenuto in un dato momento storico;
- operare la ripartizione delle quote ammortizzabili anno per anno, in relazione al bilancio aziendale;
- ricavare il numero di anni necessario per l’ammortamento dell’investimento;
- far decorrere gli anni necessari per l’ammortamento, dalla data in cui l’investimento è stato effettuato.
Quest’operazione consentirebbe di determinare la corretta durata della concessione sulla scorta di un parametro per nulla ostile all’attuale assetto normativo. Chiariamo con un esempio. Se un concessionario nel 2010 ha investito 500.000 euro e, in relazione al bilancio aziendale, necessitava di 16 anni per ammortizzarlo, avrà diritto a un prolungamento della durata della concessione sino al 2026 (2010+16). Le modalità attraverso le quali operare tale correttivo possono essere le più svariate, per esempio rimettere in capo al concessionario l’onere di determinarlo sulla scorta dei necessari atti tecnici (analisi costi sostenuti e business plan), lasciando alla P.A. il compito di emettere un giudizio di congruità. Sia i criteri di determinazione sia i parametri tecnici necessari alla suddetta operazione di stima potrebbero senz’altro trovare posto in un intervento legislativo ad hoc, che fornisca indirizzi standardizzati per valutare sia gli investimenti realizzati sia le modalità di ammortamento, tenendo altresì conto della dimensione d’impresa, della sua ubicazione, del numero di dipendenti, eccetera.
In alternativa, non volendo seguire la strada del correttivo alla durata, la lesione al legittimo affidamento potrebbe dare corso a meccanismi di indennizzo, riconoscendo il diritto in capo al concessionario a ottenere una somma da parte dello Stato a giustificazione del danno subito. Somme che possono essere scomputate dal canone ancora da versarsi, oppure computate nelle forme del credito verso l’Erario e il cui pagamento è rimesso a carico del concessionario entrante in luogo del versamento del canone.
Per tutti gli altri imprenditori balneari che non hanno compiuto investimenti tali da far sorgere un vero e proprio diritto tutelabile, le soluzioni vanno ricercate invece nella formulazione, tuttora assente, dei disciplinari di gara, con la previsione di requisiti preferenziali, sulla falsariga di quelli previsti in materia di appalti pubblici. Le problematiche, infatti, non differiscono da quelle di qualunque altro settore ove operano in regime concorrenziale imprese specializzate. La ditta più esperta sarà facilitata ad accedere a nuovi appalti, mentre quella che si affaccia per la prima volta sul mercato dovrà compiere qualche sforzo in più per costruirsi esperienze spendibili in futuro. Questo perché, come appare presagibile, i punteggi di gara saranno parametrati anche sulla scorta degli anni maturati nel settore, riconoscendo un punteggio maggiore all’imprenditore con più esperienza. In tal senso, la storicità di certe aziende sul proprio territorio costituisce fuor di dubbio un meccanismo premiale favorevole ai concessionari esistenti, idoneo a garantire un sistema concorrenziale non appiattito sul solo dato finanziario, ma idoneo a valorizzare la qualità dell’offerta.
Oggi, a dispetto delle proposte appena tracciate, l’unico riferimento vincolante è il D.L. 59/2010, che dall’art. 10 all’art 16 stabilisce alcuni punti fermi quali il divieto di discriminare un imprenditore per la sede legale o la cittadinanza, il diritto di accesso al mercato a chi non ha esercitato in Italia, il divieto di accordare vantaggi al prestatore uscente, eccetera. Un assetto normativo che lascia, di tutta evidenza, un ampio margine alla discrezionalità della P.A., che potrà dunque costruire i punteggi in modo tale da valorizzare certe caratteristiche d’impresa e scoraggiarne altre. Evidente è, altresì, che accedere a una selezione non significa vincerla, ciò dipendendo essenzialmente dal peso che l’Amministrazione vorrà attribuire a certe peculiarità ritenute più o meno importanti di altre.
Anche senza necessariamente attendere la normativa di riordino si possono comunque trarre utili conclusioni, anche per stemperare e ridimensionare il terrore che da qualche anno attanaglia la categoria. Nel settore turistico balneare la stanzialità dell’impresa è il fattore predominante, forse perché in Italia la formula vincente rimane quella della piccola impresa familiare impegnata in prima persona nell’azienda. Un modello imprenditoriale che si è dimostrato di grande successo, e che ha permesso alle aziende di ottenere gli attesi guadagni proprio investendo nella qualità del servizio offerto. Da ciò si comprende come sia altamente improbabile che un imprenditore proveniente da altri contesti e luoghi, con organizzazioni imprenditoriali meno incentrate sulla conduzione in proprio, possa efficacemente competere con il nostro “sistema”, dovendo nella migliore delle ipotesi scontare maggiori spese atte a compensare il gap che lo allontana dal nostro modello balneare, con conseguente erosione della quantità e qualità dei servizi offerti. Volendo azzardare una valutazione prognostica, che si spera però trovi un argine nella necessaria compattezza della categoria, il pericolo per gli uscenti potrebbe essere rappresentato, più che da offerenti esterni, dall’imprenditore vicino di spiaggia, potendo quest’ultimo contare su caratteristiche tecniche, economiche e culturali del tutto simili. Oltre dunque all’ovvia premialità verso chi è in grado di offrire un servizio migliore, la svolta strategica sarà quella di valorizzare, nei parametri a base di gara, l’inscindibile connessione che questo servizio ha con il territorio, in modo da offrire un punteggio maggiore a certe aziende che meglio di altre rappresentano la cultura dell’ospitalità di una data zona, arginando così i rischi che inevitabilmente sono connessi alla gara.
Gestire uno stabilimento balneare, infatti, non è certo assimilabile alla gestione del servizio di pulizia di una città, tanto per fare un esempio comprensibile ai più. Se la strada la pulisce un’impresa con personale che non parla la lingua del posto e/o che non rappresenta il territorio, la cosa è assolutamente ininfluente giacché l’interesse pubblico è che la strada sia pulita. Nel settore che ci interessa, di contro, esiste un legame inscindibile dell’azienda con il territorio, tanto da poter affermare che il servizio offerto è il “terroir”!
Un servizio di questo tipo non è uniforme su tutto il territorio nazionale, o addirittura europeo, ma al contrario nasce e si consolida proprio sulle diversità, sulle peculiarità locali e regionali. È ovvio che tale diversità, amata da tutto il turismo nazionale e internazionale, deve essere premiata, valorizzata e tutelata. Nessuno, infatti, vorrebbe recarsi in uno stabilimento balneare sulla rinomata costiera amalfitana per vedersi servito dal cameriere francese piatti della cucina internazionale. Al contrario, ci si aspetta di essere accolti con palese napoletanità, gustando i piatti della storica tradizione partenopea. Credo sia chiaro a tutti che visitando un certo territorio ci si aspetta, anzi si pretende, di essere accolti in un certo modo che sia espressione più pura e genuina del luogo di soggiorno scelto, gustando determinati cibi, ascoltando certi idiomi, eccetera. L’interesse pubblico connesso alla valorizzazioni di questi aspetti è evidente: se l’utenza non troverà lo stabilimento balneare e i suoi servizi rappresentativi dei luoghi, non sarà danneggiata solo l’azienda, ma la località balneare nel suo complesso e, quindi, la sua stessa immagine turistica.
È proprio questo legame inscindibile con il territorio a dover essere oggetto di disamina in sede di definizione dei bandi di gara, come pure la storicità di certe imprese, definendo parametri non certo costruiti per escludere altre imprese che vogliono legittimamente operare in modo differente, ma offrendo un punteggio più elevato a chi sino a oggi ha rappresentato un’eccellenza per il proprio territorio. Su tali temi, di certo complessi e tutt’altro che banali, ci si dovrebbe concentrare nei mesi a venire per finalizzare le proposte legislative verso l’obiettivo da tutti sperato. Proposte che possano davvero, e senza infingimenti o alchimie normative, dare certezza a chi ha speso decenni per contribuire al fascino dell’offerta balneare “Made in Italy”.
Ing. Giannicola Ruggieri – Master in Diritto ed Economia del Mare, Master in Diritto Internazionale del Mare (Università della Valletta – Malta), Docente di demanio marittimo per la scuola di formazione per funzionari di P.A. Trevi Formazione, consulente di P.A. in materia di demanio, consulente demaniale per Demaniomarittimo.com
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