di Cristiano Tomei
Sul recente caso della riforma spagnola, relativo alla possibilità di estensione delle concessioni demaniali marittime esistenti a 75 anni con il differente approccio governativo di quello Stato, ma anche e soprattutto ai fini di una differente posizione della risposta europea rispetto al caso italiano (vedi notizia), si conferma la necessità di insistere sindacalmente per chiedere al nostro esecutivo il ritiro, o meglio la non presentazione del decreto annunciato e non condiviso dalle associazioni di categoria, poiché provocherebbe la dissoluzione di 30.000 aziende balneari italiane.
Sui fatti spagnoli e sulle conseguenti e prossime implicazioni con le strategie sindacali torneremo a breve; nel frattempo sottoponiamo alla vostra attenzione un importante approfondimento legale sulla questione.
Cordiali saluti,
il coordinatore nazionale di Cna Balneatori, Cristiano Tomei
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RIFLESSI ITALIANI DELLA QUESTIONE DEMANIALE SPAGNOLA
gentilmente estratto (da Comitato Balneari Liguria)
La recente evoluzione della normativa demaniale spagnola richiede attenzione per le evidenti analogie con la questione balneare italiana, per il differente approccio governativo e per l’atteggiamento conciliante assunto dalla Commissione europea.
Le notizie che ci è stato possibile raccogliere finora sono in realtà assai poco documentate; tuttavia è evidente che il governo spagnolo – a differenza di quanto sta accadendo in Italia – si è mosso per tutelare i diritti acquisiti dai proprietari delle strutture esistenti, evitando il rischio di veri e propri espropri.
L’estensione a 75 anni della durata delle concessioni costituisce l’elemento di maggior spicco della riforma. Le motivazioni ufficiali, a quanto risulta, richiamano esigenze ambientalistiche, la cui credibilità è fortemente contestata dalle maggiori associazioni ecologiste locali. Il governo, in sintesi, sostiene che la nuova regolamentazione proteggerà il litorale con maggiore efficacia di quanto sia stato fatto in passato e genererà maggiore attività economica, assicurando, nel contempo, certezza giuridica a cittadini ed imprese.
È assai più probabile che il movente effettivo sia la necessità di sostenere la situazione speculativa che ha determinato la crisi economica spagnola. Non dimentichiamo che l’attuale emergenza spagnola nasce dallo scoppio dell’enorme bolla immobiliare all’interno della quale sono rimasti invischiati cittadini, banche e ingenti capitali tedeschi. E non perdiamo di vista il fatto che la nuova normativa, mentre ridisegna la linea di confine demaniale – introducendo, sembra, criteri molto più restrittivi e geo-morfologicamente attenti all’ambiente rispetto a quelli esistenti nella Legge del 1988 – prevede la possibilità di trasferire al patrimonio disponibile dello Stato le aree rideterminate attraverso il disposto della nuova legge, precedentemente classificate come demanio marittimo. Questo passo è essenziale affinché tali aree possano essere vendute o cedute ad altro titolo.
Ciò nonostante – o forse proprio per questo – l’Ue, che nei confronti dell’Italia aveva contestato il diritto di superficie proposto dal governo Berlusconi, sembra avere pacificamente condiviso testo e motivazioni del provvedimento spagnolo. Due pesi e due misure? Se i fatti che conosciamo dovessero essere confermati, questo è certo. Ma è perfino troppo evidente che l’atteggiamento dell’Europa dipenda dalla posizione garantista assunta dal governo spagnolo, oltreché dal peso politico della Germania.
Questa riflessione conferma le convinzioni maturate nel corso degli ultimi due anni tra chi si occupa attivamente della questione balneare italiana: è il governo italiano, e non certo l’Europa, che intende riassegnare le concessioni demaniali marittime mediante gara. E questo nonostante le ragioni dei concessionari italiani non dipendano da fatti speculativi, nonostante le aziende balneari siano qualificate da una più che centenaria integrazione costiera, e nonostante siano state e siano il fondamentale elemento trainante di un sano sviluppo economico. Per non parlare della compatibilità con Trattato e Direttiva servizi, assai più ampia e fondata di quella spagnola.
Sappiamo che, se la Bolkestein fosse correttamente applicata, i nostri concessionari balneari risulterebbero fin da ora esclusi di diritto dall’applicazione della direttiva per i noti motivi, ripetuti fino alla noia, quanto inascoltati:
- perché concessionari di beni e non di servizi;
- per insussistenza del requisito della scarsità delle risorse naturali ex art. 12 Direttiva Servizi;
- perché svolgono attività connessa con l’esercizio di poteri pubblici (combinato disposto art. 2, comma 2, lettera i) Direttiva Serv.izi e art. 51 TFUE – ex art 45 TCE);
- perché prestano i servizi sanitari specificati dall’art. 2, comma 2, lettera f) Direttiva Servizi;
- per estraneità (nel senso della non inerenza) del diritto di stabilimento ex art. 49 TFUE (ex art. 43 TCE).
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