di Alex Giuzio
I dubbi erano tanti, ma la protesta è riuscita in pieno. La maggior parte degli stabilimenti balneari d’Italia questa mattina ha chiuso gli ombrelloni per manifestare contro il silenzio del governo sulla direttiva europea Bolkestein, che minaccia la vendita delle spiagge tramite evidenza pubblica, determinando la scomparsa dei piccoli imprenditori a favore dei grandi gruppi economici.
I sindacati non hanno voluto organizzare una protesta violenta, bensì dare un piccolo segnale di unità e determinazione che si è rivelato molto efficace. L’impatto mediatico è stato notevole, e soprattutto il dialogo con i clienti si è rivelato stimolante: tanti turisti che non conoscevano i problemi dei balneari sono stati incuriositi dalla spiaggia senza ombra e si sono informati sui motivi del gesto, supportando i titolari degli stabilimenti.
Nella maggior parte delle località costiere l’adesione è stata intorno al 95%, con appena qualche bagno che ha mantenuto gli ombrelloni aperti perché non condivideva le modalità dello sciopero. Una grande diserzione, invece, è avvenuta a Rimini e Riccione, dove nessuno ha aderito perché il sindacato di Giorgio Mussoni Oasi-Confartigianato – che in questa zona fa da padrone, ma nel resto d’Italia non rappresenta nessuno – ha ritenuto sbagliato «protestare senza conoscere il testo del decreto che il governo sta preparando sulle concessioni demaniali». Ma forse Oasi non ha capito che la protesta era proprio contro il governo che non ha ancora comunicato il contenuto di un decreto redatto senza consultare la categoria interessata.
Molto efficace è però stata la protesta nel resto della Romagna, dove si è deciso non di chiudere gli ombrelloni, bensì di rimuoverli del tutto, quasi per compensare la diserzione riminese. Da Ravenna a Gatteo Mare il paesaggio era simile alla luna, ma i turisti hanno capito i motivi di un gesto così forte. In questi cinquanta chilometri di spiaggia la categoria si è dimostrata più unita che mai, proponendo iniziative divertenti e colazioni gratis per attenuare il disagio ai clienti.
Tanto spazio al gioco anche in Toscana e Liguria, anch’esse regioni dall’adesione massiccia e dall’elevata partecipazione dei clienti. In Versilia, litorale investito dai palloni aerostatici con la scritta "No alle aste", si sta preparando un grande tuffo collettivo – proprio come un anno fa – da organizzare per il prossimo 11 agosto, cavalcando l’onda della protesta e facendo capire al governo che non si sta più scherzando. A Savona gli esponenti del partito La Destra hanno impiccato al ponte Ruffino un manichino vestito da bagnino.
Più frammentate, ma non per questo meno d’impatto, le adesioni in Lazio, Puglia e Marche, dove si sono fatte rispettivamente sentire l’influenza di Federbalneari (per le prime due) e Itb Italia, che non hanno aderito allo sciopero. Ma in ogni stabilimento che ha deciso di non erogare il suo servizio principale fino alle 11 l’entusiasmo era elevato e la determinazione verso un solo obiettivo: no alle aste delle concessioni demaniali. Il messaggio è arrivato forte e chiaro alle orecchie del governo, che oltre a Comuni, Province e Regioni si è visto arrivare i messaggi di sostegno ai balneari da parte di numerose forze politiche italiane ed europee, a partire dall’Italia dei Valori (con Di Pietro in persona) all’europarlamentare Lara Comi.
I ministri Gnudi e Moavero sembrano rimasti soli contro tutti, ma si ostinano nella loro posizione di arroccamento: in reazione allo sciopero, Gnudi ha infatti dichiarato a Radio24 che «il governo cercherà di interpretare le norme europee in modo che sia anche l’occasione per stabilizzare il settore balneare e fare degli investimenti per rendere le nostre spiagge ancor più attraenti». E ciò verrà fatto con estremo ritardo: «A fine anno presenteremo un piano strategico per il rilancio del turismo, poi sarà compito dei nostri successori attuarlo. Abbiamo perso quote di mercato significative. Dobbiamo rilanciare il nostro paese e il turismo non ha un solo punto da aggredire, ma molti punti e pertanto stiamo preparando un piano per rilanciarlo, un piano che presenta un’azione da sostenere negli anni perché non si può pensare di risolvere i problemi che si sono accumulati in molti anni solo in pochi mesi». Forse al governo Monti non è chiaro che occorre agire immediatamente. Ma le successive proteste continueranno a ricordarglielo.
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