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‘La Bolkestein non è un buon affare per nessuno’

L'Agenzia Dire pubblica una suggestiva intervista a un balneare di Milano Marittima, che pubblichiamo volentieri perché rappresenta la dura realtà che i balneari di tutta Italia, dopo decenni di sacrifici, stanno affrontando.

di Antonella Salini

«Dagli stabilimenti non si cava l’oro. Il Governo lasci tutto com’è». Da Milano Marittima piovono i ‘no’ alla liberalizzazione delle spiagge. L’onda alta non è ancora arrivata, ma la riviera romagnola alza già le barricate. Le associazioni di categoria premono perché le concessioni demaniali non vengano toccate, chiedono al Governo di assicurare, almeno, il diritto di prelazione per chi la concessione l’ha già pagata e lamentano di aver ricevuto attenzioni minori rispetto ad altre categorie. La Dire è andata sulla costa ed ha intervistato chi, sulla spiaggia, ci ha passato tutta la vita. A lavorare, da bagnino.

«Io sono un ottimista di natura, ma bisogna guardare in faccia la realtà: è grigia, per tutti». Maurizio Maraldi da Milano Marittima, una vita spesa in riva al mare tra ombrelloni e sdraio, guarda la vita ai tempi delle liberalizzazioni dal Bagno Del Pino. Uno stabilimento in cui ha trascorso più di quarant’anni. «Ci lavoro dal 1969, sa, avevo 12 anni..»

Dodici? Non sono pochi per iniziare a lavorare? 

«Erano altri tempi. I miei genitori lavoravano, l’estate era lunga. Prima di ottobre a scuola non si tornava, e io facevo la stagione a Milano Marittima. Prendevo poco più di 100.000 lire per tre mesi. Mica c’erano vincoli sindacali. Il padrone ti dava un tot e tu lo prendevi, e te lo facevi andar bene»

Cosa faceva nello stabilimento?

«Rastrellavo, facevo i lavori della mattina, sistemavo le sdraio. All’epoca ancora non c’erano i lettini, pensi un po’. Il resto della giornata stavo al bar, si faceva tutto quello che c’era da fare, ecco. Fino alla fine degli anni Settanta è andata così. D’inverno imbianchino e d’estate a lavorare al mare»

Sempre nello stesso stabilimento? Andava d’accordo con i proprietari…

«A dire il vero, dopo 5 o 6 anni mi sono innamorato della figlia, Nadia Zamagna. E lei di me. Loro erano contenti e noi ci siamo sposati. All’inizio degli anni Ottanta abbiamo preso in gestione il bagno accanto e nel 1989 lo abbiamo rilevato. E’ diventato nostro, così come quello dei miei suoceri quando loro hanno lasciato l’attività che gestivano dal 1953»

E hanno sempre avuto il rinnovo della concessione? 

«Certamente. Funzionava così: la durata era annuale, se non si avevano problemi con la giustizia o con l’agenzia delle entrate veniva rinnovata in automatico, non c’era un tetto al numero di rinnovi. Poi, nel 2005, è arrivata la direttiva Bolkestein, cui lo Stato si poteva opporre entro un anno. Ai notai ci hanno pensato, ai farmacisti pure, solo dei bagnini non si è occupato nessuno. L’ideale sarebbe uscirne, dalla Bolkestein. Il rischio è che arrivino grossi gruppi industriali e diventino i monopolisti della spiaggia. Che poi, non sarebbe un grande affare per loro..»

Perché? 

«L’erba del vicino sembra sempre più verde, e in molti pensano che dagli stabilimenti balneari si cavi l’oro. Non è così. Pensi che se aumentassero il canone, ben il 40% dei gestori sarebbe con l’acqua alla gola. Ci sono tante spese da considerare, le aziende licenziano, i soldi sono pochi. Chi vuole entrare in affari pensa a palate di soldi. Ma sbaglia, ogni stagione è un’incognita»

E voi, come ve la cavate? 

«Io ho due figli, Valentina e Matteo. Lei è ingegnere informatico e lui architetto, ed è per lui che, nel 2010, abbiamo rilevato un bagno, il 312. Nel frattempo, avevamo fuso i nostri due iniziali: nel 1997 abbiamo demolito tutto quello che c’era e li abbiamo rifatti, con un unico bar per quelli che erano stati due diversi stabilimenti. Non nascondo di aver fatto debiti. Poi li ho ripianati. Poi ne ho fatti di nuovi, e ho ripianato anche quelli. Va così. Qui abbiamo fatto tutto da soli»

Altrove, invece? 

«In alcune zone, soprattutto quelle depresse del Sud, sono arrivati soldi a fiumi, milioni di euro. Qui, neanche uno. Noi non abbiamo avuto nessuna Cassa del mezzogiorno a salvarci. Qui c’è chi si è ipotecato la casa, ed è andato avanti»

Se dovessero mettere il limite di quattro anni alle concessioni, come cambierebbe la situazione?

«Guardi, preferisco aspettare che se ne sappia di più. Per ora controllo sempre su internet come evolvono le cose giù a Roma, consulto ogni giorno i rappresentanti di categoria. Certo è che noi vorremmo almeno esercitare il diritto di prelazione. Non dimentichiamoci che qui ogni spesa è stata a nostro carico. Gli allacci di luce, acqua, gas, la fibra ottica per la connessione ad internet… Abbiamo messo tutto noi, di tasca nostra. Senza contare che dovremo pagare anche l’Ici. L’imposta la deve saldare il proprietario, ed è certo che sono soldi che dovremo versare noi, anche se si chiamerà Imu»

Se potesse parlare con il presidente del Consiglio, Mario Monti, cosa gli chiederebbe?

«Eh, cosa gli chiederei.. Che le cose andassero avanti così, che non modificasse la gestione delle spiagge e che ci facesse continuare a lavorare come abbiamo sempre fatto. Certo, se l’Italia ha bisogno di soldi, noi privati non possiamo lavarcene le mani»

Cosa potreste fare? 

«Se proprio serve un sacrificio, si potrebbero aumentare i canoni, per dire. Adesso sono tra i 5.000 e i 10.000 euro. Non sembrano tanti soldi, è vero, ma non sono loro la principale fonte di spesa. Ci sono tanti altri esborsi da fare, per tenere in piedi un bagno decente»

Davanti alle probabili scelte del Governo, come difenderebbe la sua categoria? 

«Noi siamo la parte sana del Paese. Le nostre aziende lavorano e producono lavoro. Con il Governo serve un dialogo. Si ragiona, ci si mette a sedere e ognuno esprime il suo parere. Noi vogliamo essere ascoltati»

Senta, ma se arrivasse un ricco industriale e la pagasse bene, lei rinuncerebbe al suo bagno?

«Oddio, se mi desse molti soldi, può anche darsi. Però, sa, ho appena inserito mio figlio, ci devo pensare. E poi, magari, anche liberalizzando, gli acquirenti non ci sarebbero».

(fonte: Agenzia Dire – www.dire.it)

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