Attualità

‘I balneari non sono padroni delle spiagge’

Il presidente del Comitato Salvataggio Imprese e Turismo ricorda alla categoria il suo ruolo di gestione di un bene pubblico. 'Solo così potremo mantenere le concessioni'

di Emiliano Favilla

Quando non si vuole riconoscere che la “Bolkestein”, come si vorrebbe applicarla, è una porcata, si alimentano polveroni a non finire contro gli imprenditori balneari delle piccole imprese familiari. Evasori fiscali, non rispettano i diritti dei lavoratori, eccetera, fino a dargli dei padroni delle spiagge.

In altra occasione ho già chiarito che i balneari sono imprenditori con pregi e difetti come tutti gli altri: c’è chi si comporta bene, e non sono pochi come le statistiche hanno confermato, chi meno bene e chi si comporta male. Quindi, mescolare la “Bolkestein” con questi problemi è veramente fuori luogo e quando lo fa addirittura un ministro come Gnudi, come ci toccò sentirlo subito dopo la sua nomina, non la possiamo considerare solo ignoranza (già grave per un ministro), ma veri e propri pregiudizi dettati da cattiva fede.

Questa dura battaglia contro le aste, credo abbia fatto riflettere molti concessionari degli stabilimenti balneari. Ha fatto capire loro che hanno delle ragioni da difendere nell’interesse non solo della categoria, ma anche per quello che rappresentano nell’economia del nostro paese. Al tempo stesso è stato anche per loro un motivo di riflessione sul fatto (tra i difetti che gli vengono imputati) che non sono i padroni delle aree demaniali date in concessione. E dato che non lo sono (salvo che non sia lo Stato con le sue tasse a confermarlo quando gli fa comodo) è sbagliato che qualche balneare si atteggi o si arroghi il diritto di esserlo portando discredito a tutta la categoria.

Le rivendicazioni dei balneari troveranno giusta soddisfazione solo e soltanto se saranno capaci di convincere sempre di più l’opinione pubblica, e conseguentemente la politica, del ruolo di imprenditori seri che gestiscono un bene pubblico, sul quale hanno costruito delle strutture di loro proprietà investendo lavoro e risorse finanziarie notevoli, peraltro senza incentivi pubblici, e che nel tempo hanno arricchito i nostri territori dando opportunità di lavoro a chi è direttamente coinvolto nelle nostre attività, a coloro che forniscono le attrezzature e a tutto il resto che in seguito è sorto dintorno. Quindi strutture alberghiere, ristoranti e attività commerciali e non, di ogni genere. Tutto questo è stato realizzato nonostante non ci fossero leggi particolarmente favorevoli all’imprenditore balneare che opera sul demanio marittimo, ma solo applicazioni di normative di “ buon senso” in un clima di reciproca fiducia.

Oggi non sono pochi coloro che rimproverano a questi imprenditori di averlo fatto. Il “chi ve l’ha fatto fare” è una frase all’ordine del giorno, dato che viene ribadito, appunto, che “sapevate di investire sul demanio pubblico”. Ma se così non fosse stato fatto (e non si parla degli abusi ma di cose consentite dalle normative vigenti con tanto di concessioni edilizie, ecc. ecc.) non ci sarebbe stato, lo vogliamo ribadire con forza, lo sviluppo economico delle nostre zone costiere e degli entroterra. Piaccia o non piaccia questa è la realtà. Per cui, se il buon senso iniziato 150 anni fa con il pioneraggio balneare è stato il “motore” di un benessere generale, dobbiamo continuare su quella strada. Tutti devono avere l’accortezza di non distruggere o rovinare un sistema di risposta turistica che ha funzionato per un secolo e mezzo, dove la spiaggia libera e quella attrezzata hanno convissuto, e può continuare a essere sprono futuro per ulteriore sviluppo economico. Questo lo debbono sapere soprattutto coloro che hanno responsabilità istituzionali.

I balneari rivendicano il diritto di tutelare la propria impresa ed evitare che gli investimenti che hanno fatto vadano in fumo, nel frattempo hanno il dovere di gestire seriamente e onestamente un bene pubblico, rispettando i diritti dei cittadini e dei lavoratori che operano nelle proprie imprese balneari. Debbono dare e avere rispetto nel solco di quel “buon senso” iniziato 150 anni fa.

Questo governo, come avrebbero dovuto farlo quelli precedenti, deve applicare, anch’esso un “concreto buon senso”, e rivendicare in fretta all’Europa un’applicazione della Direttiva Servizi “Bolkestein” che vada a chiarire la specificità delle esigenze delle piccole imprese familiari che operano nel nostro paese, perché altrimenti non se ne esce. E prima questo governo lo capisce e agisce di conseguenza, meglio è, dato che già oggi il clima di sfiducia che serpeggia nella categoria sta producendo molti danni, sia dal punto di vista occupazionale sia per gli investimenti che farebbero molto bene e sarebbero da “volano” all’attuale economia asfissiante e recessiva.

Emiliano Favilla (presidente Comitato Salvataggio Imprese e Turismo)

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