di Alex Giuzio
«Nei prossimi giorni andrò a Bruxelles per cercare di trovare le possibili misure per tutelare lo strategico settore economico del turismo balneare». Ci voleva il caso spagnolo, per far capire al ministro al turismo Piero Gnudi la necessità di un confronto con l’Europa. La sua bozza di decreto legge divulgata due giorni fa, e distruttiva per il comparto balneare italiano, è stata accolta da una pioggia di commenti negativi da ogni parte politica e sindacale (leggili qui). Persino Giorgio Mussoni, il presidente di Oasi-Confartigianato da sempre favorevole alle evidenze pubbliche, si è dichiarato contrario alla proposta del governo. E così, Gnudi a testa bassa si è visto costretto a promettere di recarsi in Unione europea per discutere nuove forme di tutela alle attuali imprese balneari, che se mandate a evidenza pubblica diventeranno la rovina del turismo italiano.
Ma appunto, si tratta di promesse. E Gnudi ne ha fatte già tante. Così tante che, ormai, i balneari non si fidano più. Anche l’improvvisa contrarietà di tutti i politici risulta poco chiara ai più sospettosi: d’altronde, siamo già in campagna elettorale e ogni parola viene attentamente misurata per guadagnare il maggiore consenso possibile.
Ma la reazione contraria è stata talmente clamorosa e compatta che, forse, un fondo di verità c’è. Anche il più ingenuo può capire, leggendo il decreto, che non è possibile rapire un’impresa a chi l’ha costruita sulla base di un contratto con lo Stato, che l’indennizzo proposto è inadeguato e che il pericolo di infiltrazioni malavitose o di multinazionali è elevato. Tant’è che Gnudi non presenterà la sua bozza al prossimo consiglio dei ministri, ma prima farà un viaggio a Bruxelles per confrontarsi con il caso Spagna. Lì le concessioni sono state prolungate di 75 anni, e le prime sarebbero scadute nel 2018. Qui scadranno a fine 2015, e ancora non è stato fatto nulla. Dovevamo aspettare la Spagna, per dare una spinta alla situazione italiana?
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