Difendere il mare e le coste dell’Adriatico dall’assalto delle compagnie petrolifere. È il messaggio lanciato da Goletta Verde anche in Emilia-Romagna, rilanciando il manifesto internazionale #StopSeadrilling – No Oil, un impegno comune per il futuro del mare Adriatico.
Anche in Emilia-Romagna Legambiente ha raccolto le adesioni di enti locali e pescatori. I volontari di Legambiente oggi hanno esposto uno striscione contro le trivelle in prossimità delle piattaforme già presenti, mentre a bordo della storica imbarcazione ambientalista navigavano verso Cesenatico, dove lo striscione è stato nuovamente esposto con l’adesione del sindaco di Cesenatico, dei pescatori e dei balneatori.
La zona dell’alto Adriatico vede infatti una forte attività di estrazione di idrocarburi, prevalentemente di gas. L’Emilia-Romagna non è dunque esente dall’assalto delle compagnie petrolifere. Tra le tre richieste di concessione di coltivazione – ultimo passaggio per poter avviare delle nuove estrazioni – che sono attualmente in fase di valutazione di impatto ambientale, c’è quella ad esempio di cui è titolare Eni, ubicata di fronte alla costa tra Rimini e Cesenatico per un’area di 103,6 kmq. Sempre in Emilia-Romagna c’è anche il permesso di ricerca della Po Valley, contro cui si stanno battendo le associazioni, che si trova a largo tra Comacchio e Ravenna. Tra le istanze di permesso di ricerca che si trovano tutte in fase istruttoria (l’inizio dell’iter tecnico amministrativo) c’è infine quella dell’Adriatic Oil a largo della costa tra Rimini e Cervia per un’area di 430,8 kmq.
«A preoccupare è anche la recentissima scelta del ministero dello sviluppo economico che ha autorizzato la società petrolifera Po Valley Operations ad ampliare un titolo già esistente al largo del Delta del Po, nel ravennate. Un’autorizzazione già impugnata dalle associazioni ambientaliste», spiega Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia-Romagna. «La riperimetrazione della superficie precedentemente concessa ha portato a un’estensione dell’area di ricerca di gas e petrolio in mare da 197 chilometri quadrati a 526 chilometri quadrati, e per di più entro le 12 miglia dalla costa, area vincolata e vietata per legge. Se l’ampliamento andasse in porto, a nostro avviso, si avrebbe un via libera per poter trivellare i nostri mari ovunque: a due passi dalle coste e dalle spiagge, dalle aree protette, sempre più a ridosso di luoghi ad alto valore turistico, da nord a sud. Chiediamo che la Regione prenda una posizione netta contro questi rischi».
Insomma, si gioca con la legge per raddoppiare l’area per le trivellazioni offshore. Nell’area dell’Alto Adriatico, particolarmente sensibile per i rischi di subsidenza, non a caso fino allo scorso anno erano vietate le trivellazioni, mentre con l’articolo 38 del decreto Sblocca Italia (d.l. 133/2014) il governo ha aperto a “progetti sperimentali di coltivazione” da sottoporre a valutazione di impatto ambientale. La concessione alla Po Valley nel ravennate rappresenta una di queste forzature intollerabili a esclusivo vantaggio delle compagnie petrolifere.
Tra i fenomeni più evidenti dei rischi ambientali c’è, come detto, quello della subsidenza che colpisce tutta la fascia costiera emiliano-romagnola. Proprio nel ravennate, tra i territori più colpiti dal fenomeno di abbassamento del terreno e di erosione della costa c’è quello di Lido di Dante a Ravenna: se il litorale ravennate registra abbassamenti generalmente fino a circa 5 mm/anno, l’area costiera compresa tra Lido Adriano e la foce del Bevano presenta una depressione più importante, facendo registrare un abbassamento pari a 20 mm/anno proprio in corrispondenza della foce dei Fiumi Uniti.
È ormai certo che l’estrazione di fluidi dal sottosuolo – e quindi anche di idrocarburi – sia una delle cause antropiche dell’aumento della subsidenza. Per questo si chiede subito di fermare le estrazioni della piattaforma Eni al largo di Ravenna. Tutti fattori di cui non sembra tener conto il governo italiano. Il calcolo costi-benefici dell’impatto economico, sociale e ambientale di questo approccio è assolutamente perdente: l’inquinamento sistematico e il rischio di incidente mettono a rischio aree di pregio naturalistico e paesaggistico, dove si svolgono fiorenti attività economiche legate ai settori delle pesca e del turismo, per cercare ed estrarre risibili quantità di gas e petrolio.
«Nell’anno della Cop21, dove si giocherà la partita del nuovo protocollo per combattere il cambiamento climatico – dichiara Serena Carpentieri, portavoce di Goletta Verde – queste forzature del governo hanno una drammatica valenza simbolica per tutto il Paese, in assoluto contrasto con ogni strategia che voglia lottare contro i cambiamenti climatici. Un ennesimo tentativo della vecchia economia novecentesca basata sulle fonti fossili., che mette a rischio tutta l’economia sana della zona invece di difendere l’interesse pubblico a uno sviluppo economico sostenibile. Finora a lottare contro le trivelle c’erano solo gli ambientalisti; oggi invece, come testimoniamo qui da Cesenatico, ci sono oggetti anche molto diversi tra loro, dai pescatori agli imprenditori balneari, agli operatori del settore turistico, che dimostrano come la contrarietà alle trivellazioni nasce dalla richiesta di un futuro ambientale, economico e sociale diverso da quello il governo nazionale ha deciso di mettere in campo».
Turismo e pesca sono i settori che saranno direttamente coinvolti dalle conseguenze delle attività estrattive. Per quanto riguarda la pesca, alcuni studi del Norvegian Institute of Marine Research calcolano una diminuzione del pescato anche del 50% intorno a una sorgente sonora che utilizza airgun, la tecnica di esplorazione per la ricerca di giacimenti petroliferi nel sottosuolo marino. Così come coinvolto da questa insensata corsa all’oro nero sarà il settore turistico, un patrimonio importantissimo per l’economia di quest’area, che rischia di subire un notevole impatto negativo dal moltiplicarsi degli impianti estrattivi presenti e in arrivo nel mar Adriatico.
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