CARRARA – Si è tenuta questa mattina nella sala stampa di CarraraFiere la conferenza “Una petizione per l’Europa”, che Federbalneari Italia ha deciso di convocare per porre al centro del dibattito i rapporti del governo italiano con l’Unione europea e il futuro, rimandato al 2020, delle imprese balneari.
Si è trattato di un’occasione importante per il confronto e l’analisi delle problematiche del comparto turistico balneare che, secondo Federbalneari, non si possono risolvere chiedendo al governo di uscire dalla direttiva Bolkestein, ovvero di non applicare l’articolo 12 della direttiva n. 2006/123/CE.
La soluzione che Federbalneari ha presentato ai media sintetizza le istanze degli imprenditori balneari in funzione della politica europea di liberalizzazione e delle richieste di Bruxelles: far partire le procedure di evidenza pubblica fin da subito solo per le aree non in concessione, e valorizzare il sistema di imprese che già sono sul mercato, permettendo loro di investire e restare competitive, con dei business plan da completare entro il 2015.
Ma c’è anche un’altra strada per salvare il comparto turistico balneare di cui è lo stesso governo italiano il principale responsabile. Si tratta cioè di chiedere all’Unione europea di far rispettare le leggi 494/1993 e 296/2006 per mezzo di una petizione che potrebbe far tornare la stessa Italia in infrazione, qualora non dovesse rispettare le norme in vigore.
«Non possiamo aspettare che sia il governo, ancora non formato, a rappresentare in Europa gli interessi degli imprenditori balneari. Ci andremo direttamente noi, con lo strumento della petizione», ha spiegato il presidente di Federbalneari Renato Papagni.
L’Unione europea, infatti, evidentemente non è a conoscenza del fatto che c’è già una legge in Italia che disciplina il settore balneare rispettando i principi del libero mercato. L’articolo 3, comma 4bis, della legge n. 494/1993, introdotto dall’articolo 1, comma 253, della legge n. 296/2006, stabilisce: “Le concessioni di cui al presente articolo possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle Regioni”.
«Questa legge – spiega il presidente Papagni – si ispira all’articolo 18 del regolamento del codice della navigazione. Per questo chiediamo al governo italiano di rispettare una legge che c’è da 50 anni e di applicare la direttiva Bolkestein in funzione dei business plan e degli investimenti che verranno presentati. Federbalneari chiederà all’Europa, con una petizione, di imporre al nostro paese di rispettare le leggi in vigore, altrimenti sarà la stessa Italia a cadere, nell’arco di sei mesi, nuovamente in procedura di infrazione».
Mauro Della Valle, vicepresidente Federbalneari, ha aggiunto: «C’à anche un’altra questione di fondamentale importanza per Federbalneari: l’allineamento dell’Iva al 10%». Il regime dell’Iva previsto a livello nazionale, infatti, costituisce quanto meno un’anomalia, se non addirittura una contraddizione, poiché invece di garantire competitività al settore, ne colpisce la crescita. A differenza degli altri segmenti imprenditoriali coinvolti nella filiera turistica (alberghi, campeggi, villaggi turistici, pubblici esercizi, eccetera) che scontano un’aliquota Iva del 10%, il comparto balneare viene assoggettato all’aliquota ordinaria, pari al 21%. Un principio che appare discriminante, nel momento in cui la stessa normativa di regolamentazione del settore turistico (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo di cui al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79) ha riconosciuto l’azienda balneare quale impresa turistica a tutti gli effetti.
comunicato stampa Federbalneari
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