Opinioni

L’emergenza coronavirus rende necessario revisionare la direttiva Bolkestein

La situazione emergenziale in corso ha mutato le condizioni delle imprese balneari in modo tale da rendere ingiustificabili le evidenze pubbliche.

Nel drammatico scenario per il comparto del turismo balneare dovuto all’emergenza coronavirus, le problematiche dell’estensione delle concessioni balneari e, più in generale, dell’applicabilità della direttiva Bolkestein rischiano di diventare uno dei banchi di prova su cui dovranno confrontarsi i governi e la stessa Unione europea per il rilancio del turismo. Il dibattito che si è sviluppato intorno a questi temi, infatti, si è arricchito di alcuni elementi fondamentali che non possono essere taciuti nel rispetto di un criterio di coerenza con gli indirizzi assunti a livello nazionale ed europeo.

La ristrutturazione dell’azienda balneare – sancita dalla creazione di strumenti finanziari di sostegno oggetto dei recenti dpcm con i quali si è preso atto delle gravi difficoltà che l’emergenza coronavirus ha posto davanti alle imprese del settore, mettendone in alcuni casi in discussione la stessa sopravvivenza – è senza dubbio avvenuta nell’ambito di una mutata sensibilità da parte dell’Unione europea, caratterizzata dal formarsi di un quadro di misure messe in campo dai rispettivi governi sostanzialmente derogatorie rispetto al divieto di aiuti di Stato. Gli effetti di tale produzione normativa – con riferimento in particolare all’introduzione di dilazioni, garanzie bancarie e strumenti di sostegno al reddito – si estendono necessariamente alla presa d’atto del venir meno delle condizioni minime di equilibrio economico-finanziario necessarie per affrontare procedure di evidenza pubblica, espressione di una capacità competitiva che, in questa fase straordinaria, è stata formalmente negata rendendo paradossalmente ingiustificate procedure che non tengano in considerazione tale nuova condizione e il sostegno pubblico predisposto a fronte di una dichiarata situazione di emergenza.

Come si può oggi sostenere la ristrutturazione aziendale delle imprese balneari e non consentire le proroghe, considerando gli impegni assunti dalle medesime aziende come nuovi investimenti ammortizzabili solo con una rimodulazione della durata delle concessioni e dei canoni concessori? Come possono essere considerati diversamente da investimenti ammortizzabili i costi sopportati dalle imprese e finanziati dallo Stato per affrontare la crisi economica e adeguare le attività alle stesse norme igienico sanitarie? Basterebbe questo per comprendere l’inopportunità e l’intempestività (ma azzarderemmo anche l’illegittimità) di procedure di evidenza pubblica che ignorino tale situazione anticipando indebitamente provvedimenti contraddittori con gli stessi indirizzi nazionali ed europei.

In un’Europa che progetta forme di intervento che ristabiliscano condizioni di solidità economica e di competitività dei sistemi economici nazionali e delle aziende, alcune amministrazioni potrebbero purtroppo rendersi responsabili di atti fuori dai tempi e dalle stesse norme che affermano di voler rispettare. Per questo è auspicabile la conseguenza di una interpretazione della direttiva Bolkestein rispettosa di un quadro emergenziale che, se impone limiti ai principi costituzionali, non può non trovare un’armonizzazione con il quadro normativo europeo.

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Paola Mancuso

Avvocato, segretario generale di Federbalneari Toscana e membro del Centro studi Federbalneari Italia.