Norme e sentenze

Canoni balneari, Consiglio di Stato contesta alta valenza turistica

I giudici di Palazzo Spada hanno dato ragione a un concessionario di Ostia, che aveva presentato ricorso contro i maxi valori Omi applicati retroattivamente

Uno stabilimento balneare di Ostia che contestava l’applicazione dei maxi canoni Omi ha ottenuto ragione dal Consiglio di Stato, che ha pubblicato un’articolata sentenza in cui si afferma la non applicabilità dei valori sull’alta valenza turistica introdotti dalla legge 296/2006. Con pronuncia n. 2137/2023, pubblicata lo scorso 1° marzo (presidente Roberto Giovagnoli, estensore Massimiliano Noccelli), il Consiglio di Stato ha accolto buona parte del ricorso presentato dai Bagni Vittoria, associati a Federbalneari e difesi dagli avvocati Stefano Zunarelli e Vincenzo Cellamare, con una pronuncia che apre dei precedenti molto importanti per tutti gli altri stabilimenti balneari in analoghe situazioni.

Le origini del contenzioso

La società concessionaria dei Bagni Vittoria di Ostia aveva impugnato innanzi al Tar Lazio l’ordine di introito del Comune di Roma con cui nel 2011 era stata invitata a corrispondere dei canoni pari a 25.821 euro per l’anno 2011, 21.845 per il 2010, 22.410 euro per il 2009 e 24.855 per il 2008. Si trattava di cifre molto più elevate rispetto a quelle indicate nell’atto di concessione, sottoscritto nel 2006. Infatti il Comune di Roma aveva successivamente applicato le tariffe di “alta valenza turistica” in base alla legge 296/2006 e aveva quindi richiesto il conguaglio delle annualità pregresse. Con sentenza n. 11554 del 6 novembre 2020, il Tar aveva respinto il ricorso, portando la società concessionaria a presentare appello al Consiglio di Stato, che ha invece accolto molte tesi difensive.

Nel loro ricorso, i legali dei Bagni Vittoria hanno contestato l’applicabilità del concetto di “alta valenza turistica” sulla base di una relazione fornita dal prof. Armando Montanari dell’Università La Sapienza, che esamina punto per punto i punteggi attribuiti al litorale romano sotto il profilo della valenza turistica e sviluppa numerose e argomentate conclusioni critiche in una adesione alla realtà territoriale diversa da quella prospettata dall’amministrazione capitolina.

La decisione del Consiglio di Stato

Nella recente sentenza, i giudici di Palazzo Spada affermano che «la rideterminazione del canone demaniale in applicazione dei parametri stabiliti dalla legge n. 296 del 2006 implicava una necessaria e scrupolosa attività procedimentale, consistente nella verifica dei presupposti applicativi e nella qualificazione delle opere insistenti sull’area in concessione, con particolare riguardo alle pertinenze demaniali. E ciò dal momento che la legge n. 296 del 2006 non si è limitata a prevedere un semplice aggiornamento dei canoni demaniali sulla base dei preesistenti valori tabellari, ma ha profondamente rivisitato i criteri di determinazione dei canoni medesimi con riferimento, in particolare, alla categoria delle cosiddette “pertinenze”, per le quali è stata introdotta una valorizzazione in base a criteri di mercato».

Proseguono i giudici: «Nel caso presente si è al cospetto di richieste di pagamento che involgono l’apprezzamento di profili tecnico-discrezionale tutt’altro che rigidamente predeterminati, ampiamente opinabili e, di fatto, ampiamente contestati dall’appellante sulla scorta di constatazioni fattuali e di considerazioni tecniche scevre da ogni precostituita certezza. Da qui scaturisce la violazione delle fondamentali regole e garanzie che presiedono alla partecipazione procedimentale, di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, con il conseguente annullamento di tutti gli atti di introito, gravati in prime cure con il ricorso introduttivo e i successivi plurimi motivi aggiunti via via proposti, nella misura in cui non sono stati preceduti da nessun atto di interlocuzione procedimentale con la società, odierna appellante, che avrebbe potuto fornire, già in sede procedimentale, un ampio apporto conoscitivo, se non valutativo, delle circostanze utili alla determinazione dei canoni concessori qui contestati».

Tali considerazioni, sottolinea il Consiglio di Stato, sarebbero già sufficienti per dare ragione al concessionario; ma i giudici si sono addentrati ulteriormente a esaminare tutte le puntuali tesi argomentative presentate nel ricorso dai legali dei Bagni Vittoria. Tra queste c’è la contestazione dell’applicabilità della fascia di “alta valenza turistica”, supportata dalla relazione del prof. Montanari, in merito alla quale Palazzo Spada afferma che «nell’attività di riesame conseguente all’annullamento della delibera già statuito da detta pronuncia, l’autorità amministrativa debba farsi carico di esaminare anche i puntuali rilievi svolti dal prof. Montanari nella propria relazione al fine di confermare o meno, motivatamente, le ragioni che l’hanno condotta a tale giudizio».

Il commento

Questo il commento sulla sentenza di Marco Maurelli, presidente di Federbalneari: «Abbiamo creduto sin dall’inizio in questo impianto giuridico difensivo posto in campo dal nostro ufficio legislativo coordinato dall’avvocato Vincenzo Cellamare e sostenuto dal prof. Montanari e da Federbalneari. La sentenza definitiva ci dà ragione. L’alta valenza non è applicabile senza una motivazione e un percorso istruttorio validi. Federbalneari Italia si dimostra attenta alle esigenze di settore e osservatore molto qualificato di temi economici che investono l’attuale modello d’impresa».

Aggiunge l’avvocato Vincenzo Cellamare, dell’ufficio legislativo di Federbalneari Italia: «Con questa sentenza il Consiglio di Stato afferma che non basta, per esprimersi in termini di teoria generale dell’atto amministrativo, una mera giustificazione dell’atto stesso, con il richiamo alle norme applicabili e ai semplici presupposti fattuali, ma occorre una specifica motivazione di questo, con l’esternazione, pure sintetica ma intellegibile, delle ragioni di fatto e di diritto (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e dell’iter logico-giuridico, indefettibile, che hanno condotto la pubblica amministrazione a rideterminare i canoni in aumento. In altre parole la sentenza sanziona, in particolare, l’azione amministrativa per “la violazione delle fondamentali regole e garanzie che presiedono alla partecipazione procedimentale, di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990”, con il conseguente annullamento di tutti gli atti di introito “nella misura in cui non sono stati preceduti da nessun atto di interlocuzione procedimentale con la società che avrebbe potuto fornire, già in sede procedimentale, un ampio apporto conoscitivo, se non valutativo, delle circostanze utili alla determinazione dei canoni concessori contestati”».

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