La recente fiera Sun di Rimini, che da 36 anni chiama a raccolta gli imprenditori balneari di tutta Italia, ha fatto emergere una questione molto importante: le associazioni di categoria non sono mai state così frammentate come oggi. Lo hanno dimostrato le numerose assemblee organizzate durante la tre-giorni: Sib-Confcommercio, Fiba-Confesercenti e Oasi-Confartigianato sono i soli a fare fronte comune pur nelle loro differenze; Cna Balneatori da quattro anni ha cominciato a camminare per conto suo, Federbalneari lo ha sempre fatto così come Itb Italia, a cui si è aggiunto il sindacato della Base balneare nato pochi mesi fa. Senza dimenticarsi di Assobalneari-Confindustria, che quest’anno in fiera non ha nemmeno organizzato iniziative.
Il problema di questa situazione non è tanto l’impossibilità fisica di seguire tutti gli appuntamenti, ma piuttosto sta nel fatto che questa eccessiva divisione potrebbe costituire un alibi per la politica. Tanto più che, nella fase attuale, tutte le associazioni stanno dicendo la stessa cosa: il “no alle gare” per le attuali imprese balneari. Difatti, riuniti venerdì scorso sul palco del Teatro del Casinò a Sanremo per gli “Stati generali del turismo” organizzati da Fratelli d’Italia, i presidenti di tutte le sigle sindacali hanno mantenuto più o meno tutti la stessa posizione, pur con diverse e normali sfumature. Ma si tratta di differenze facilmente superabili: basta un minimo di volontà per oltrepassare gli ostacoli, le appartenenze e i vecchi rancori e tornare a lavorare tutti insieme sullo stesso fronte per risolvere l’annoso problema che colpisce il settore balneare, quello della direttiva europea Bolkestein e delle evidenze pubbliche che comporterebbe la sua controversa applicazione.
A beneficiare di una ritrovata unità tra associazioni di categoria sarebbe l’intero settore balneare. È indubbio, infatti, che se la questione Bolkestein non è stata ancora risolta, è anche perché non tutti i rappresentanti sindacali hanno lavorato sempre nella stessa direzione, permettendo ai precedenti governi di fare il bello e il cattivo tempo in assenza di una posizione unitaria delle sigle. Spesso gli imprenditori della spiaggia fanno l’esempio della Spagna che avrebbe risolto la situazione con una proroga di 30 anni, ma si dimenticano che in quel paese c’è una sola associazione a rappresentare tutti i titolari di stabilimenti, ovvero un solo interlocutore del governo, la Federación española de empresarios de playa. Il che ha di certo facilitato una rapida soluzione.
È questo il momento di mettere una pietra sul passato, dimenticare chi era a favore e chi contro al disegno di legge del governo Gentiloni e tornare a camminare tutti insieme. Mai come oggi, infatti, le contingenze sono favorevoli per poter chiedere il massimo: il ministro al turismo Gian Marco Centinaio ha annunciato che l’intento del governo è far uscire le imprese balneari dalla direttiva Bolkestein, e questa promessa è stata accolta con favore da tutte le associazioni di categoria. Quindi, perché non contribuire tutti insieme a scrivere una legge che concretizzi tali parole?
Anziché rimarcare le differenze tra le varie sigle, come spesso avviene nei dibattiti pubblici che riguardano il settore, si può ripartire dal sedersi tutti insieme intorno allo stesso tavolo per scrivere un documento comune di intenti. Questo sarebbe l’unico modo per diventare il vero “cane da guardia” del governo, che è un ruolo necessario da assumere in questa fase. Pur fidandosi delle promesse avanzate dal ministro Centinaio, è infatti sempre importante restare in allerta, non solo affinché queste promesse vengano davvero mantenute entro i tempi annunciati (Centinaio ha parlato di fine dicembre, massimo inizio gennaio), ma anche per indirizzare il governo che – a nostro parere – nel concreto sembra ancora in alto mare su questa vicenda. Leggendo infatti tra le righe, il ministro al Sun di Rimini non ha parlato di una legge entro la fine dell’anno, bensì di «un documento da portare in Europa» per discuterlo (vedi notizia). Il che ci fa temere che si voglia perdere altro tempo – forse per sfruttare i balneari per l’ennesima campagna elettorale, quella delle elezioni europee in programma la prossima primavera. Eppure il settore non ha bisogno di documenti da discutere – tanto più se si dà per scontato come la risposta di Bruxelles non possa che essere negativa – bensì di una legge immediata ed efficace. Le concessioni scadranno tra due anni, il 31 dicembre 2020, e una materia così complicata ha bisogno di tempo per essere normata, per cui sarebbe forse meglio saltare il viaggio in Belgio e approvare subito un disegno di legge in Italia. Se il governo gialloverde ignora le indicazioni della Commissione Ue per un provvedimento importante come la manovra economica, perché non dovrebbe farlo per le concessioni balneari?
Inoltre, pur continuando a sentir parlare di uscita dalla Bolkestein, continuiamo a non sapere che cosa accadrà una volta che le spiagge saranno escluse dalla direttiva: il settore non ha infatti bisogno di misure facili e approssimative, bensì di una riforma organica che metta per iscritto cosa accadrà alle attuali concessioni. Anche se fuori dalla Bolkestein, le spiagge continuerebbero a essere oggetto del Trattato di Lisbona che impone comunque le evidenze pubbliche per il suolo demaniale (anzi, in questo caso non ci sono neppure i paracadute per gli attuali imprenditori previsti dalla Bolkestein, come la scarsità della risorsa). Perciò è necessario pretendere dal governo delle risposte più concrete rispetto agli slogan che abbiamo sentito sinora, chiedendo una legge che metta per iscritto i diritti dei proprietari di stabilimenti balneari e che metta fine anche al grave squilibrio dei canoni.
Queste, secondo il nostro parere di osservatori, sono le priorità da pretendere subito da parte del governo. E solo se le associazioni lavoreranno tutte insieme, a prescindere dalle polemiche tra di loro e mettendo da parte le naturali e trascurabili differenze, potranno portare un contributo costruttivo che faccia anche da sollecito a chi ha il compito di scrivere una legge dopo tante promesse.
Noi abbiamo lanciato la sfida. Ora chi farà il primo passo?
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