di Luca Marini
Carissimi balneari,
i fattori principali che concorrono alla nostra difficile situazione sono riconducibili alla crisi economica, all’opinione pubblica, alla direttiva europea Bolkestein e alle ideologie politiche e amministrativo-governative. Ma alla spicciata sappiamo con chiarezza che le prime tre (la crisi generale, l’opinione pubblica e la direttiva in questione) sono state e vengono usate “strumentalmente” sia dalla politica che dalle amministrazioni e dal governo: giustificazioni per spazzare via i “peones balneari”.
È tutta l’area Mediterranea (Europa del sud) a essere messa in scacco. La prima causa (la crisi) è solo la maschera del processo di “globalizzazione” che sta per prima investendo le economie più deboli e ballerine (come quelle greca, italiana, spagnola) e cioè le più indebitate dell’area dell’Ue nei confronti della moneta più forte anglo-americana. Il commissariamento dell’Italia risponde quindi ai primi creditori europei (il sistema bancario Ue), ma in definitiva lo stesso è poi mosso da istanze globalizzanti.
L’opinione pubblica è anch’essa utilizzata in modo funzionale ai progetti “ideologici” dei partiti e del sistema amministrativo-governativo. L’ideologia del precedente governo di centrodestra (il primo a tradire chiaramente l’elettorato balneare), di stampo neoliberista ma con vistosi interessi a incrementare il potere di acquisto dei politici post-berlusconiani (tremontismo), si basava sulla “svendita” simil greca ma fatta all’italiana, e cioè ammiccante verso i poteri corrotti e i grandi gruppi economici. L’ideologia del centrosinistra è quella più consona anch’essa a mantenere in primis gli appetiti degli apparati interni e delle amministrazioni locali, ma anche a giustificare il tutto rispetto al fatto che in un momento di “crisi” tutti debbono perdere il potere di acquisto (di fronte ai grandi sacrifici dell’opinione pubblica) e i “privilegi”: un’omologazione verso il basso. Questo era già stato detto, analizzato e preventivato.
Ovviamente il terzo punto (la direttiva) chiude alla perfezione l’impianto complessivo delle “giustificazioni” per mandare all’asta l’Impresa Mare. L’attuale governo tecnico ha deliberatamente posto un ministro meno competente, meno tecnico e quindi più in risonanza e manovrabile proprio sul “tesoro del turismo” italiano, rispondente sia ai bisogni immediati dei creditori “esteri” che quindi ai migliori acquirenti del tesoro stesso nostrano, il tutto contemplando la “stecca” sia per il governo che per gli apparati politici nel loro complesso. A nessuno di questi interessa che al 2016 rimangano gli stessi volti sul demanio italiano (un fronte trasversale…!).
Il disallineamento delle regioni sul tema, come quello interno alle sigle di rappresentanza della categoria (alcuni visibilmente filogovernativi), diventa poi evidentemente funzionale agli interessi politici e governativi. Ora quindi l’azione di lotta dei balneari italiani dovrebbe essere già stata impostata da tempo sulla quadratura del cerchio, piuttosto che sull’ingenua speranza e sui tempi di attesa di una riconsiderazione globale della nostra questione, magari mediata da una debole azione di interlocuzione.
È evidente, quindi, che deve essere raggiunto un punto di “precario equilibrio” dove una maggiore autonomia e indipendenza di lotta, e quindi di intercettazione degli obiettivi e delle strategie da parte del “corpo balneare”, si misuri in modi funzionale o disfunzionale, complementare o antagonista al Sistema in modo più preventivo, rispetto alla “resa dei conti” posticcia agli eventi contrari alla categoria.
La stessa cosa si può dire delle forze rappresentative. L’allineamento, poi, tra queste ultime e il corpo di base della categoria avviene anch’esso in modo complementare o antagonista in funzione di quanto si esprima funzionalità o disfunzionalità al Sistema in modo accettabile, dignitoso e costruttivo per il miglior perseguimento possibile degli obiettivi di lotta della categoria.
Solo così possiamo evitare di essere noi stessi “funzionali al Sistema” mentre questo dimostra palesemente da tempo la contrarietà all’Impresa Mare nel suo complesso e mira, piuttosto che all’interlocuzione, alla sua disfatta in termini morali, economici e soprattutto sul piano dei diritti e del lavoro.
Insomma, questo è un appello a una “strategia di lotta integrale” dove l’unione si basa sua una vera e definitivamente consapevole comprensione delle situazione e dove la sinergia, oggi, si deve ripostulare sia su gli obiettivi raggiunti, sia su quelli perseguibili, in guisa tuttavia dell’evidente “fronte unico e compatto” contrario a togliere i balneari da questa palude.
Ovviamente, per non rimanere in secca al netto del “fronte unico delle aste”, dobbiamo sempre usare le leve che ci vengono incontro “miracolosamente”: l’allargamento della questione balneare a tutto l’indotto mediterraneo (sud europeo) e la poderosa crisi della politica italiana attuale che sta proiettando imminentemente sul paese una situazione molto difficile e di “precaria governabilità”, dove tuttavia l’effetto del partito di protesta ("partito del non voto" + Movimento 5 Stelle) potrebbe anch’esso essere usato strumentalmente per squarciare il fronte del sì alle aste.
Se ne deduce, quindi, che l’Impresa Mare italiana, avente maggiori interessi sulle coste mediterranee, si debba fare portavoce centrale delle suddette istanze creando un coordinamento balneare dandosi un appuntamento nazionale e sud-europeo in occasione di un’incontro di alta qualità contraddistinto da una località centrale del paese come del Mare Nostrum, e con valenze culturali, politiche ed economiche all’altezza della situazione anche per gli anni a venire.
Inoltre, occorre portare il governo a presentare quantomeno le istanze e le parti sociali della categoria balneare in seno all’Ue, richiedendo una rilettura della direttiva capace di trovare al suo interno le soluzioni più appropriate che evidentemente escludano le evidenze pubbliche, le quali se proiettate (come si dovrebbe) nel futuro prossimo, evidenziano un’ingestibilità concreta della situazione con ricadute negativissime sia per l’impresa che per le amministrazioni stesse.
Siglare con un documento d’intesa la “saldatura definitiva” del fronte del no alle aste, con tutti quei soggetti politico-amministrativi (Regioni, Anci, sigle di rappresentanza, deputati al parlamento italiano ed europeo, capigruppo, ambientalisti, associazioni di categoria) già ampiamente resisi disponibili alla difesa dell’Impresa Mare italiana.
Rieleggere immancabilmente la rinnovata situazione politica nazionale e gli emergenti “punti di svolta”, in modo anche strumentale di fronte alla nomenclatura e al fronte del sì alle aste. Creare un’agenda strategica di lotta comune dove ci sia intanto maggior coordinamento tra la base e i vertici (come nei rispettivi quadri interni e tra le sigle di rappresentanza stesse), nonché un’ipotesi condivisa di antagonismo complessivo, visti i risultati attuali sul “tavolo” delle trattative, almeno fino ad una chiara e stabile costruzione di concertazione tra le parti sociali e il governo, avente quest’ultimo il dovere istituzionale di rappresentarle a Bruxelles e nel Paese.
Preparare un’avvocatura di appropriato “carattere e calibro” facente una “preventiva” ma concreta proiezione sull’ipotesi del danno già ricevuto e quantificabile della categoria e dell’indotto, da un discutibile recepimento e implementazione della direttiva Bolkestein nel nostro Paese su un soggetto difficilmente rientrabile nella generica dicitura "servizi", anche in guisa del trattato europeo e delle interrogazioni parlamentari in merito.
Luca Marini (presidente Afib)
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