di Alex Giuzio
Gli stabilimenti balneari di "facile rimozione" non devono pagare l’Imu. Lo ha ribadito la sesta sezione della Corte di cassazione, presieduta da Mario Cicala, che con una sentenza dello scorso 12 gennaio (n. 263/2016) ha confermato quanto già deciso dalla Commissione tributaria regionale di Salerno.
Secondo la Corte di cassazione, ai fini dell’imposizione Imu gli stabilimenti balneari devono essere esenti ove consistano in una struttura non stabile collocata a tempo determinato sulla spiaggia. Attenzione, quindi: la pronuncia di esenzione Imu è valida solo per le strutture balneari smontabili. Per quanto riguarda le opere stabili, la sentenza afferma invece che in questo caso «la posizione del concessionario è assimilabile a un diritto di proprietà con conseguente applicazione dell’Ici» (oggi Imu). Insomma, chi ha lo stabilimento accatastato dovrà continuare a pagare l’Imu (il che è comunque positivo, poiché equivale al riconoscimento della proprietà della struttura).
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La sentenza chiude un lungo contenzioso tra uno stabilimento balneare del Cilento e l’amministrazione comunale. Lo stabilimento, difeso dall’avvocato Nunzio Boccia (che ci ha gentilmente inviato la documentazione), aveva avviato un procedimento giuridico contro il Comune che pretendeva di applicare a tutti stabilimenti balneari l’imposta comunale sugli immobili (Ici ai tempi del contenzioso; oggi Imu).
La Corte di cassazione, invece, stabilisce un importante principio, e cioè che l’applicabilità dell’Imu all’impresa balneare va valutata caso per caso. «Il ricorso del Comune è infondato – afferma la sentenza – perché è stata accertata l’inesistenza di strutture (fisse) idonee a consentire l’applicazione della tassa».
La sentenza costituisce un importante precedente giudiziario, poiché può essere applicata ai numerosi altri stabilimenti balneari – non solo cilentini – che hanno subìto l’applicazione impropria dell’Imu, in alcuni casi piuttosto onerosa.
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