Avete mai pensato di servire un gin tonic con una bruschetta di burro e alici? Si chiama “food pairing” ed è l’arte culinaria di fare abbinamenti inediti e raffinati fra cibo e bevande alcoliche: una qualità sempre più importante anche negli stabilimenti balneari all’avanguardia nel food & beverage, dove spumanti, drink e cocktail possono essere arricchiti di frutta, ortaggi, spezie ed erbe aromatiche per affiancarli ai piatti alla carta.
La prima regola del food pairing è fare attenzione alle calorie del cibo e alle gradazioni dei drink, per non provocare pesantezza ai propri commensali – soprattutto nei ristoranti sulla spiaggia, dove dopo i pasti non si vede l’ora di fare un tuffo. La seconda è osare negli accostamenti, ovviamente sperimentandoli prima di inserirli nel menu.
Un esempio? «ll gin tonic, con gocce di lime, accompagna perfettamente anche un semplice piatto delle cene di mezzanotte estive come gli spaghetti all’aglio, olio e peperoncino», suggerisce Lucio D’Orsi, bar manager del Dry Martini di Sorrento, cocktail bar sulla terrazza panoramica dell’Hotel Majestic di Sorrento e tra i sommellier più esperti di food pairing in Italia. «Anche il Martini è l’ideale per le cene della bella stagione – prosegue D’Orsi – in particolare nella versione freschissima a frappé, ribattezzata “gin-basil smash”, che si ottiene abbattendo il Martini a meno 30 gradi nel congelatore per farlo diventare una granita e aromatizzandolo con scorze di limone e basilico bio».
Un altro abbinamento di tendenza è quello del gin tonic con pane burro e alici, l’antipasto del momento, ottimo anche con gli spumanti. Per i ristoranti specializzati in pesce, invece, il filetto di sgombro del Mediterraneo è perfetto da associare a una coppa di blend di whisky giapponese, sake, marmellata di arance amare, succo di limone e perfino tè bianco e camomilla. Per i piatti più tradizionali come la pasta alla carbonara, suggerisce infine D’Orsi, «i drink ad alta gradazione alcolica come il bourbon o lo scotch esaltano il sapore della pancetta, soprattutto se accostati a pomodori San Marzano, miele, coriandolo o essenze di pepe e peperoncino». E i dolci? Che sia gelato o pasticceria, il food pairing può terminare con piccole quantità di spiriti lisci, dal gin ai whisky.
«Il consumo di vino o birra a tavola è un’abitudine statica e radicata – spiega D’Orsi – mentre abbinare gli spiriti di ottimo livello ai menù permette di dare infinite e nuove sfumature ai sapori con grande creatività. Io cucino come gli chef, ma uso il ghiaccio e gioco con i contrasti degli spiriti e delle bollicine. I miei drink contengono da 4 a 18 componenti diversi, abbinati agli ingredienti dei cibi, e ogni piatto ha il suo unico cocktail. Le singole essenze aggiungono sapori e profumi, soprattutto se si usano erbe aromatiche e frutta da piccole coltivazioni locali. I limoni industriali, per esempio, sono trattati in superficie perdendo gli aromi. Infatti, quando usati nei drink, si riconosce subito perché aggiungono un sapore amaro che invece il limone naturale non possiede».
Resta il sospetto che dopo una cena del genere ci si alzi da tavola affaticati perché i liquori non sono facilmente digeribili, anche per l’alto tasso alcolico. «Il segreto è dosare bene le gradazioni e calcolare a monte le calorie», svela D’Orsi. «Costruendo un menù si deve considerare la scaletta alcolica, che deve essere graduale. Si comincia con 6 gradi per l’antipasto-aperitivo, si passa a 12 e poi a 22 gradi con i piatti di apertura. Si arriva a 30 gradi per piatti importanti e si chiude anche con 42 gradi di un whisky puro a fine serata. Ma attenzione alle dosi: per gli spiriti non devono superare i 30 grammi. Non ci si deve alzare da tavola appesantiti e il bilanciamento di piatti e spiriti deve essere molto preciso. Noi calcoliamo al massimo 700-800 grammi totali a testa, inclusi i cocktail, e in questo modo a fine cena ci si sente leggeri».
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