di Alex Giuzio
Nella sua breve esperienza di governo, il premier dimissionario Mario Monti si è affannato nei tentativi di pareggiare il bilancio pubblico italiano. Risulta allora strano che, quando si occupa del nostro mare, lo stesso governo ne svenda a prezzi stracciati alle multinazionali del petrolio vaste porzioni per l’estrazione degli idrocarburi.
Risale allo scorso 15 marzo l’approvazione di un permesso con cui il ministero dello sviluppo economico concede alla Petroceltic Italia srl la realizzazione di una ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi per una durata di sei anni. L’area interessata dalla concessione si estende per ben 474 chilometri quadrati e interessa la porzione di mare Adriatico antistante Pescara, Francavilla e Ortona (vedi mappa sottostante). Il prezzo? Appena 14.675 euro per sei anni, cioè 5,16 euro all’anno a chilometro quadrato che la Petroceltic dovrà versare allo Stato per poter effettuare analisi geologiche e installare trivelle e piattaforme allo scopo di estrarre petrolio dal mare.
![]() |
L’insignificante tariffa è definita nel decreto di attuazione che concede il via libera ai lavori, firmato da Franco Terlizzese in qualità di dirigente generale del dipartimento per l’energia del ministero dello sviluppo economico. La Petroceltic – una compagnia internazionale di estrazione e produzione di petrolio e gas con quartier generale a Dublino e distaccamenti a Edimburgo, Londra, Algeri, Varna, Cairo e Roma – dovrà iniziare le indagini geologiche e geofisiche entro dodici mesi dalla pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale, e cominciare a perforare il suolo marino entro quarantadue mesi.
Sono valide, naturalmente, le prescrizioni imposte dal codice della navigazione per tutelare l’ambiente marino, la pesca e la navigazione marittima e aerea; così come è esplicito l’obbligo di adottare «ogni misura possibile» per la protezione dell’ambiente. Ma ciò non toglie che la concessione di questa vasta porzione di mare si inserisce in un contesto di petrolizzazione del mare italiano – e Adriatico in particolare – contro cui le associazioni ambientaliste come Wwf e Legambiente stanno lottando da anni. Proprio domani si terrà infatti a Pescara l’iniziativa "No petrolio per l’Abruzzo" contro le trivellazioni a cinque miglia dalla costa (vedi notizia precedente).
Sempre il governo Monti, con l’applicazione del cosiddetto "decreto sviluppo" del 22 giugno 2012, ha infatti approvato la riduzione del limite entro il quale sono possibili le trivellazioni in mare alla ricerca di petrolio, passandolo da dodici a cinque miglia marine. Lo stesso decreto, all’articolo 35, stabilisce il condono delle trivelle in mare. Attualmente le piattaforme per l’estrazione di petrolio nel mare italiano sono nove, ma secondo Legambiente raggiungeranno presto le settanta unità proprio a causa delle numerose nuove concessioni approvate durante il governo Monti.
I rischi ambientali della ricerca di idrocarburi in mare sono incalcolabili, e riguardano il pericolo di compromettere l’equilibrio marittimo e costiero italiano e la salubrità dell’aria, con gravi ripercussioni anche nell’economia turistica visto il notevole impatto visivo di queste piattaforme così vicine alla costa (vedi foto in alto). Nel caso della porzione di Adriatico concessa alla Petroceltic, ad esempio, la prospezione geologica e geofisica sarà attuata con la tecnica dell’airgun, che ha delle precise prescrizioni per evitare conseguenze negative alla fauna ittica: «Nel caso che si accerti la presenza di mammiferi marini all’interno della zona – prescrive il decreto – l’inizio delle attività deve essere posticipato fino all’allontanamento degli animali, attendendo almeno trenta minuti dall’ultimo avvistamento. E trenta minuti prima dell’inizio degli spari, gli osservatori dovranno accertare l’assenza dei singoli individui». Tuttavia, la zona in questione è talmente vasta che non è chiaro come possa essere controllata per intero e con attenzione. Oltretutto, è da anni che viene avvistato il passaggio di numerosi branchi di delfini proprio in questa area.
Dopo l’approvazione, avvenuta circa un mese fa da parte del ministero dell’ambiente, del progetto ‘Ombrina mare 2’ che conferisce alla multinazionale inglese Medoil la possibilità di installare un impianto a sei chilometri dalla Costa dei Trabocchi (compresa tra i comuni di Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro) per la desolforazione del greggio estratto dai fondali marini, con questa nuova concessione alla Petroceltic, l’Abruzzo si avvia a diventare la regione dal mare più petrolizzato.
Stupisce, a tal proposito, l’assenza della Regione Abruzzo che non ha fatto pervenire il proprio parere riguardo alla recente concessione alla Petroceltic, mentre il ministero per i beni e le attività culturali ha già comunicato il proprio parere favorevole nel maggio 2011. E nemmeno i cittadini sembrano indignarsi per la conquista del mare italiano da parte delle multinazionali del petrolio. «Ci sono solo alcune comunità locali a opporsi a queste proposte, ma i ministeri vanno avanti lo stesso come se nulla fosse», spiega Luciano Di Tizio, presidente Wwf Abruzzo.
Le associazioni ambientaliste stanno chiedendo agli enti locali di fare ricorso al Tar «contro l’ennesima decisione che va contro gli interessi ambientali ed economici della regione», aggiunge Di Tizio. «Vi è ormai un deficit di democrazia che deve essere colmato, e contro cui protesteremo durante la manifestazione di domani a Pescara, con partenza dalla Madonnina alle ore 15.30».
All’iniziativa in questione parteciperà anche Luciano Monticelli, sindaco di Pineto e delegato al demanio marittimo dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), che ha mostrato notevole sensibilità sulla materia e che si sta rivelando un importante alleato degli ambientalisti. «Noi sindaci non possiamo più subire scelte che arrivano dall’alto e che incidono pesantemente sulle nostre comunità – tuona Monticelli – né possiamo rimanere impassibili di fronte allo scempio che si prospetta per territori ad alta vocazione turistica e dove l’agricoltura lavora da anni per produzioni di alta qualità».
Monticelli è autore di un ricorso al presidente della repubblica per bloccare il progetto di ricerca di idrocarburi gassosi nella costa teramana, e ha già presentato, in sede Anci, la proposta di istituire un tavolo nazionale sui temi della petrolizzazione marittima, al quale dovranno sedere i sindaci delle città costiere, i ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico e le associazioni ambientaliste. «Da questo tavolo devono nascere proposte operative da presentare al nuovo governo – auspica Monticelli – per contrastare tutti i progetti che mettono a rischio la salubrità dei territori e la sicurezza delle comunità, in primis la ricerca in mare degli idrocarburi che è un problema che non riguarda solo l’Abruzzo ma, in prospettiva, tutte le città marine italiane. I primi cittadini devono diventare interlocutori privilegiati per scelte politiche che possono incidere pesantemente sul futuro dei territori, visto che nel programma di petrolizzazione nella nostra Regione, oltre alla ricerca di idrocarburi è prevista anche la fase di pulitura delle materie estratte, con gravissime conseguenze per la salubrità dell’aria».
E la questione, come detto, non si ferma solo all’Abruzzo. In Basilicata, ad esempio, sono già state avanzate due istanze di permesso di ricerca nel Golfo di Taranto. La prima, di cui beneficia la già nota Petroceltic Italia srl, riguarda la riapertura del procedimento relativo all’istanza di permesso di ricerca “d 151 D.R-.EL”, rigettata in data 19 luglio 2011 dal ministero dello sviluppo economico. La seconda (“d 68 F.R-TU”), invece, è stata ripresentata dalla Transunion Petroleum Italia srl e riguarda la riperimetrazione del Golfo di Taranto per la ricerca di idrocarburi. In totale si tratta di una superficie di 875 chilometri quadrati, di cui 253 alla Petroceltic e 622 alla Transunion Petroleum (vedi mappe sottostanti).
![]() |
![]() |
Le due istanze – già pubblicate sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse n. 3, anno LVII, del 31 marzo 2013 – sono comprese nel tratto di costa tra Policoro, Nova Siri, Roseto Capo Spulico, Trebisacce e Villapiana, e vanno a completare un quadro generale (e purtroppo non definitivo), che vede per il mar Jonio e il Golfo di Taranto con ben undici istanze di permesso di ricerca: tre della Northern Petroleum Ltd, due della Shell, due dell’Appennine Energy, una di Eni, una di Enel Longanesi Developments, una di Petrolceltic Italia e una di Transunion Petroleum Italia.
Un quadro che fa sembrare il mar Jonio il colabrodo petrolifero del Mediterraneo, come hanno ribadito le associazioni ambientaliste lucane Ola, NoScorie Trisaia, Ambiente e legalità e NoTriv Mediterraneo nell’invitare le amministrazioni comunali a intraprendere azioni legali contro il ministero dell’ambiente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA