Contro i titolari degli stabilimenti balneari italiani se ne dicono di tutti i colori. Li si accusa di essere dei privilegiati che hanno il rinnovo automatico della concessione demaniale, o dei parassiti che fanno pagare l’ingresso alla spiaggia. Si sottolinea che non hanno l’obbligo di fattura, che fanno soldi a palate, che pagano un canone irrisorio, che sono proprietari di un bene che dovrebbe essere comune, che hanno rovinato le coste italiane.
In tutte queste accuse, più o meno esagerate, c’è un fondo di verità, e nessun balneare può negarlo. Ma il problema sta nei princìpi: chi lancia tali accuse è infatti chi vorrebbe una spiaggia libera e aperta alla concorrenza, una spiaggia insomma dipinta come vuole la direttiva Bolkestein. Ed è qui che queste persone si sbagliano. La spiaggia deve essere libera? Benissimo, allora togliamo tutti gli ombrelloni, smantelliamo gli stabilimenti e lasciamo tornare la costa italiana alla natura selvaggia. Questo significa spiaggia libera: uno scenario indubbiamente poetico e affascinante, ma che non può più sorgere nel nostro paese. Perchè decenni fa, sulle spiagge italiane, sono nati gli stabilimenti balneari, cioè delle piccole imprese che hanno dato un valore aggiunto al turismo della penisola, contribuendo al boom di presenze.
Ma le stesse persone accusatrici dicono: questo ci sta bene, però vogliamo avere anche noi il diritto di avere uno stabilimento balneare, e invece manca la libera concorrenza. E anche qui sbagliano di nuovo: le persone che detengono oggi gli stabilimenti balneari hanno investito migliaia di euro per creare le strutture che esistono oggi. Chi è disposto a venderle o affittarle, mette giustamente un prezzo di vendita o di affitto paragonato al valore dello stabilimento. Ma nessuno è disposto a mettere all’asta il frutto dei propri sacrifici!
Ma ammettiamo anche che l’asta sia giusta e che i balneari verranno rimborsati dei soldi investiti: il cittadino crede davvero che avrà la possibilità di ottenere uno stabilimento balneare? Questo sarà molto difficile, poiché intorno alla spiaggia ci sono troppi interessi economici, troppi potenti imprenditori che non aspettano altro che mettere le mani su un pezzo di costa, per applicare anche al mare i princìpi della globalizzazione che hanno già rovinato il nostro pianeta: ogni luogo uguale all’altro, standardizzato, senza più tipicità.
Esistono imprenditori che sognano la notte di possedere una catena nazionale di stabilimenti balneari. E si parla di imprenditori italiani e stranieri. Pensate al McDonald’s, a quella catena di fast food presente in ogni città, con lo stesso cibo, lo stesso arredamento, gli stessi servizi, lo stesso pagliaccio. E trasferite questa realtà alla spiaggia italiana: ecco che arriva la ‘Marcegaglia beach’ – tanto per fare un nome a caso, visto che Marcegaglia Turismo è un’impresa realmente esistente. Lo slogan potrebbe essere: ‘In Versilia, in Riviera romagnola, nelle Cinque terre, nel Gargano… il tuo punto di riferimento per vivere la spiaggia’. Ed ecco apparire davanti agli occhi lo stesso stabilimento balneare replicato in cento località marittime. Un pensiero che fa venire i brividi.
Inoltre, la messa all’asta delle concessioni demaniali genera un altro rischio, quello delle infiltrazioni mafiose: la malavita non vede l’ora di riciclare del denaro sulla spiaggia, acquistando uno stabilimento al solo scopo di liberarsi di soldi sporchi, per poi gestirlo in malo modo.
Allora, chi accusa i balneari ed è a favore della direttiva Bolkestein approva anche questo scenario. Certo, i princìpi di partenza – libera concorrenza e libero accesso – sono corretti: ma la Bolkestein non migliorerà la situazione esistente nelle spiagge italiane. La peggiorerà. Per questo, è meglio lasciare le cose come stanno: i balneari italiani sono amanti del mare, rispettano rigide regole che impediscono la cementificazione e lo stravolgimento della costa e contribuiscono economicamente al servizio di salvataggio. Siamo sicuri che i vincitori delle future aste non faranno lo stesso, e renderanno la meravigliosa costa italiana l’ennesimo luogo globalizzato, standardizzato e violentato.
Per questo, è necessario rivolgere un appello al neo ministro del turismo Piero Gnudi, nominato questa mattina dal presidente del consiglio Mario Monti. Quest’ultimo ha puntato su figure competenti, e questo è un bene, ma ancora non conosciamo la sua posizione in merito alla questione Bolkestein. Anzi, essendo il governo tecnico un’imposizione dell’Unione Europea, ed essendo Monti l’ex presidente della Commissione europea proprio ai tempi di stesura della direttiva Bolkestein, forse c’è poco da sperare.
Innanzitutto, sconcerta l’accorpamento del ministero del turismo con quello dello sport, due campi di ben diversa fattura. E poi, anche sul curriculum di Piero Gnudi c’è qualche motivo di preoccupazione: “Nato a Bologna nel 1938, consigliere di amministrazione di Unicredit, è membro del Consiglio Generale e della Giunta direttiva di Assonime, del Comitato Esecutivo e del Consiglio Generale dell’Aspen Istitute, del Comitato Direttivo del Consiglio per le Relazioni tra Italia e Stati Uniti. È stato presidente di Enel, Iri, Rai Holding, Locat, Astaldi. E’ inoltre membro del direttivo di Confindustria“. Un profilo che non sembra vicino agli interessi delle piccole imprese balneari.
Ma tutto il mondo balneare italiano spera lo stesso che Gnudi e Monti tuteleranno gli interessi della spiaggia italiana: ne va del futuro del nostro paese. Ci sono concessionari che sono pronti a bruciare il proprio stabilimento, se gli verrà portato via. Queste persone lo ribadiscono ogni giorno, senza scherzare. Nessuno vuole una guerra civile in Italia, e ci auguriamo che non capiti. Ma difendere i balneari italiani entro il 28 dicembre, ultimatum dell’Unione Europea, è il primo passo per evitare che la delusione si tramuti in rabbia, e la rabbia in sfacelo. Giuridicamente è possibile, e gli avvocati riunitisi di recente a Viareggio lo hanno dimostrato. Manca solo la volontà politica.
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