Risale allo scorso 26 settembre la proposta del sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta (Pd) di sdemanializzare le fasce di litorale dove insistono gli stabilimenti balneari e assegnarle agli attuali concessionari. Una proposta che sembrava essersi arenata, ma che ieri è stata rilanciata dal Pdl con un emendamento ad hoc presentato per la legge di stabilità, sottoscritto dai senatori Gasparri, Romani, Chiavaroli e Bonfrisco.
La sdemanializzazione salverebbe gli stabilimenti balneari dalle evidenze pubbliche minacciate dall’Unione europea per applicare la direttiva Bolkestein del 2006 sulla liberalizzazione dei servizi. Non si tratta, dunque, solo di una manovra per fare cassa, bensì di una proposta di soluzione a un problema ben più grande, che si sta trascinando da vari anni e che ha già portato alla paralisi del settore. Infatti, se gli stabilimenti balneari non rimarranno agli attuali concessionari, la direttiva europea prevede la loro assegnazione al migliore offerente economico: questo significa che grandi gruppi multinazionali o organizzazioni mafiose potranno accaparrarsi le spiagge italiane, che non è certo uno scenario migliore rispetto a quello aperto dal Pdl.
Tuttavia, la proposta in questione ha trovato un’ampia opposizione, a partire da Sel per arrivare allo stesso Pd, che appare piuttosto diviso. Come se non bastasse, la stampa italiana ha strumentalizzato facilmente la questione, alimentando la contrarietà dell’opinione pubblica. Per questo occorre precisare che la proposta del Pdl non intende “vendere le spiagge”, come le testate generaliste stanno facendo credere, bensì solamente privatizzare la fascia antistante di litorale dove sono state innalzate delle imprese private in base a un contratto con lo Stato, che fino al 2011 assicurava agli imprenditori il rinnovo automatico delle concessioni. Il resto delle spiagge, ovvero la fascia destinata all’ombreggio, rimarrebbe pubblica come è sacrosanto. Ma per quanto riguarda i manufatti, occorre tenere conto dei notevoli investimenti effettuati dalle 28 mila piccole imprese balneari familiari, che ora stanno rischiando di rimanere senza la loro attività: la direttiva Bolkestein, infatti, in un eccesso di liberalizzazioni non ha tenuto conto delle realtà economiche specifiche come quella delle spiagge italiane.
A tutela degli imprenditori, pur salvaguardando la natura pubblica delle spiagge, va appunto l’emendamento del Pdl, che si riporta per intero in calce all’articolo ai fini di una maggiore chiarezza. Tuttavia, questa proposta ha infiammato il dibattito politico tra ieri e oggi, alimentando strumentalizzazioni a fini politici e persino false dichiarazioni: in poche ore, la proposta di sdemanializzazione dei soli stabilimenti è diventata nei titoloni della stampa generalista una fantomatica “vendita delle spiagge”, scenario naturalmente surreale e inattuabile.
Il Pd, tramite le parole del presidente della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici alla Camera Ermete Realacci, ha dichiarato che «la proposta di vendere le nostre spiagge è impresentabile e offende la dignità del Paese. Aspettiamo solo che qualche emulo di Totò proponga di vendere la Fontana di Trevi». Analogamente il leader di Sel Nichi Vendola: «Abusivismo, cementificazione, condoni. Cosa altro vogliono fare alla nostra Italia? Non permetteremo in alcun modo un altro colossale scempio delle coste del nostro Paese, un ‘bene comune’ di tutti gli italiani». E naturalmente non sono mancati i pareri negativi degli ambientalisti, tra cui il presidente della Federazione dei verdi Angelo Bonelli: «Abbiamo un livello di privatizzazione delle spiagge senza eguali in Europa e nel mondo, e che si fa? Si tenta di bypassare la direttiva Ue per mantenere i privilegi ai concessionari, lobby evidentemente potente. In questi anni le hanno tentate tutte e oggi si imbastisce questa operazione da schifo. Il demanio marittimo è bene indisponibile, riservato alla collettività. Si vorrebbe allora avviare un processo di sdemanializzazione, propedeutico a rendere vendibili i litorali. Mi auguro esistano dei parlamentari pronti a opporsi. Parliamo del resto di diritti costituzionali: il demanio ha la funzione precipua di mantenere all’uso collettivo beni fondamentali e la spiaggia è un bene pubblico per eccellenza, perché consente al popolo di fruire del mare. Privatizzare significa impedire a una fetta consistente di popolazione, la più debole, di goderlo. È indispensabile allora che la gente prenda coscienza di questo pericolo e si ribelli. La presenza privata nei 7500 chilometri di spiagge italiane impedisce già abbondantemente l’accesso ai litorali e alimenta la cementificazione, eppure si vuole dare ai soliti noti l’ulteriore possibilità di passare all’incasso e accaparrarsi terreni di proprietà dei cittadini. Hanno spesso distrutto l’ambiente e ora potrebbero prendersi tutto definitivamente. Questo francamente è inaccettabile, e sinceramente anche molto vergognoso». Bonelli è appunto tra coloro che hanno “confuso” la sdemanializzazione dei soli manufatti con la privatizzazione totale delle spiagge, alimentando la confusione su una materia già poco conosciuta.
Il Pdl ha invece giustificato la sua manovra, chiarendo che non si tratta di una vendita delle spiagge e sottolineando che la manovra di sdemanializzazione porterebbe nelle casse dello Stato circa 4-5 miliardi di euro. Il deputato Pdl Sergio Pizzolante ha infatti ribadito: «Non si può strumentalizzare tutto, non si vendono gli arenili ma solo le aree dove vivono gli immobili che sono dei privati. Ed è questa la grande occasione per un’opera di riqualificazione delle strutture turistiche italiane. L’obiettivo è quello di risolvere una questione annosa: quella delle concessioni demaniali, che riguarda 30.000 imprese italiane che hanno fatto investimenti e creato valore sulla base di una legge dello Stato che fino al 2009 garantiva il rinnovo automatico delle concessioni. Il Trattato europeo e la direttiva Bolkestein prevedono il rinnovo delle concessioni secondo criteri di concorrenza. Principio che noi condividiamo, purché si riconoscano alle imprese già esistenti gli investimenti fatti e l’aver creato un’offerta turistica balneare d’eccellenza. L’emendamento prevede il passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato delle aree dove vivono i manufatti e le proprietà immobiliari degli stabilimenti balneari, con l’obiettivo della privatizzazione con diritto di opzione per i concessionari già esistenti. La restante parte delle concessioni (arenili e ombreggi) rimangono demanio pubblico, soggetto alla concorrenza sulla base di un piano dei servizi che contempli criteri capaci di garantire l’unicità della gestione. Questo intervento permette quindi di salvaguardare oltre 30.000 aziende, e nello stesso tempo è un’operazione robusta di dismissione e valorizzazione del patrimonio dello Stato, per 5-10 miliardi. Inoltre, dando stabilità alle gestioni viene garantita la ripresa degli investimenti e la crescita del settore. Infine, l’emendamento prevede la possibilità di utilizzare almeno la metà dei 5-10 miliardi di maggiori risorse a disposizione per creare un fondo di garanzia per i mutui destinati agli investimenti nel settore del turismo, vale a dire per le spiagge, la ristorazione, il commercio e per una grande opera di rottamazione e riqualificazione del patrimonio alberghiero italiano».
Il dibattito sembra destinato a non fermarsi qui. E si spera che porti a una conclusione ragionevole, che concili la natura pubblica del bene spiagge con il lavoro e gli investimenti dei 28 mila piccoli imprenditori balneari. Agendo senza fretta, poiché la materia in ballo è estremamente complessa dal punto di vista normativo e richiede una riforma calibrata e di ampio respiro, che imponga una regolamentazione attenta a chi possiede uno stabilimento balneare per favorire la tutela ambientale, l’innovazione e il bene collettivo. È ora di aggiornare la regolamentazione del demanio marittimo, attualmente appoggiata al lontano Codice della navigazione del 1942.
Qui di seguito, il testo completo dell’emendamento presentato dai senatori Pdl.
Art 3 bis – Ridefinizione delle aree del demanio marittimo a scopo turistico ricreativo e misure per favorire la stabilità delle imprese balneari, gli investimenti, la valorizzazione delle coste.
1. Le aree ricomprese nell’ambito del demanio marittimo oggetto di concessione per l’esercizio di attività con finalità turistiche ricreative di cui all’art. 01 Legge 4.12.1993 n. 494 ed occupate da manufatti di qualsiasi genere connessi al suolo, ivi comprese le aree occupate da strutture e attrezzature alle medesime attività asservite, sono individuate con atto ricognitivo dirigenziale dall’Agenzia del Demanio ed escluse dal demanio marittimo, in quanto non più utilizzate per i pubblici usi del mare, con decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con quello dell’economia e finanze. L’inclusione nel decreto produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile.
2. L’occupazione e l’uso delle aree e dei manufatti erariali, a seguito dell’emanazione del decreto di cui al precedente comma, prosegue, nella fase transitoria, in favore del titolare della concessione demaniale attuale, sino alla piena nuova attribuzione delle aree delle concessioni in oggetto.
3. Stante le ragioni di oggettiva trasformazione di queste aree che hanno ormai perso l’originale caratteristica e quelle di pubblico interesse determinate dalla necessità di contribuire efficacemente ad un rapido risanamento dei conti pubblici, le aree individuate ai sensi del comma 1 sono cedute con riconoscimento, a favore del concessionario attuale, del diritto di opzione al loro acquisto, da esercitarsi entro 180 giorni dall’emanazione del decreto interministeriale di cui al successivo comma 4, nonché il diritto di prelazione per il caso di vendita ad un prezzo inferiore a quello di esercizio dell’opzione medesima. In ogni caso e fatto salvo l’obbligo in capo a quest’ultimo di garantire a chiunque l’accesso al mare e di mantenere la destinazione turistico-ricreativa esistente delle predette aree e strutture. E’ posto il divieto assoluto di esercitare il diritto di opzione per le superfici coperte realizzate in assenza dei titoli autorizzatori validi o in presenza di abusi edilizi.
4. La cessione di cui al comma 3 dovrà avvenire al prezzo che verrà stabilito da apposito decreto emanato dal Ministro dell’Economia e delle finanze e dal Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e le organizzazioni di settore maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
5. Le restanti aree facenti parte della medesima concessione di cui al comma 1, allo scadere della proroga di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito, con modificazioni , dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono oggetto di nuova assegnazione secondo i principi della concorrenza con riconoscimento del diritto di prelazione legale in favore del concessionario optante, sulla base di un piano dei servizi senza contenuto economico, al fine di preservare l’unicità dell’offerta balneare, la tutela ambientale e la specificità territoriale e culturale dei servizi prestati.
6. Al concessionario non optante, allo scadere della proroga legale, è riconosciuto dal concessionario subentrante un indennizzo per gli investimenti e i valori commerciali creati i cui criteri saranno definiti con apposito decreto del Ministro dell’Economia e Finanze.
7. Le risorse derivanti dalla cessione dei diritti di proprietà delle aree ricadenti al comma 1 confluiscono, per un valore pari al 50% del totale, in un apposito fondo che dovrà essere utilizzato a garanzia dei mutui contratti per la realizzazione di investimenti nel settore turistico, con caratteristiche e tipologie individuati con successivo Decreto del Ministro delle Infrastrutture in concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro dei beni culturali e del turismo.
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