La confusione è aumentata, e le proteste sono tornate. Con la pubblicazione del decreto sviluppo nella Gazzetta Ufficiale di ieri qualcosa non era chiaro: le concessioni demaniali, prima prolungate a novant’anni, ora sono state ridotte a venti. Sempre meglio che la scadenza del 2015 prevista dalla direttiva Bolkestein, ma alle associazioni di categoria la mossa del governo – motivata probabilmente dall’irritazione dell’Ue per il precedente testo di legge – non è piaciuta affatto.
Inoltre il nuovo testo, voluto fortemente da Napolitano per non ricevere ulteriori richiami dall’Ue, ha aperto una questione ancora più scottante: cosa si intende per "diritto di superficie"? La definizione è contenuta all’articolo 3 del decreto sviluppo: la durata della concessione riguarda il diritto di superficie, vale a dire un diritto di proprietà limitato a tutto ciò che sta sopra al suolo. Spiaggia esclusa, dunque. Tale norma sposta la spiaggia stessa dalla sfera del diritto pubblico a quella del diritto privato, e a differenza della concessione demaniale, il diritto di superficie non può essere revocato dallo Stato per nessuna ragione. E già su questo punto sorgono le prime perplessità.
Ma le assurdità del decreto sviluppo vanno avanti: il diritto di superficie, infatti, "verrà rilasciato nel rispetto dei criteri comunitari di economicità, efficacia, imparzialità e trasparenza". Insomma, anche se non si parla esplicitamente di una gara d’appalto, se ne evoca quantomeno l’ombra. E nel caso venissero istituite davvero le gare, il contenzioso con l’Unione Europea sarà inevitabile.
Riepilogando, questo è lo scenario: all’arrivo del 2015, naturale scadenza delle concessioni demaniali, queste ultime non esisteranno più, sostituite dal diritto di superficie, che avrà durata ventennale. E una volta scaduta questa, chi avrà la podestà di rilasciare un nuovo diritto di superficie? Il testo di legge la assegna alle Regioni, le quali però devono accordarsi obbligatoriamente con i Comuni e con lo Stato attraverso le Agenzie del Demanio. Altro aspetto che potrebbe aprire un ulteriore contenzioso, questa volta con la Corte Costituzionale, dato che ci si trova in piena violazione del principio di decentramento contenuto nell’articolo 118 della Costituzione.
Davanti a questo pasticcio, le associazioni di categoria sono insorte. Wwf e Fai hanno definito il decreto sviluppo "un’inghippo": a loro detta, se lo Stato dopo vent’anni vorrà liberare la spiaggia dalle infrastrutture costruite nel frattempo, dovrà risarcire i proprietari. Il Sib, invece, si è mostrato ancora più irritato: "Siamo stupiti e amareggiati per l’inutile marcia indietro del governo", ha dichiarato il presidente Riccardo Borgo (le sue dichiarazioni complete sono contenute nel comunicato stampa diffuso ieri: www.mondobalneare.com/articoli/news.php). La Commissione europea rimane invece sull’attenti, desiderosa di orientarsi nel labirinto di confusione del governo italiano. Nel frattempo, Gasparri e Quagliarello ne hanno approfittato per polemizzare di nuovo con l’Ue, che "voleva imporre all’Italia il socialismo balneare".
Alex Giuzio
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